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FATTISPECIE – Nel caso di specie il ricorrente contestava l’ordine di demolizione del portone e del cancello apposti a chiusura di un corridoio coperto adibito a rimessaggio di un ristorante in un fabbricato precedente al 1942. In particolare, sosteneva che il locale era censito al catasto come corridoio chiuso e parte di un’unica unità immobiliare almeno già da prima del 1967. A corredo di tali affermazioni aveva presentato i documenti catastali e anche una concessione edilizia del 2000.

LA TESI DEL COMUNE – Secondo il Comune invece la chiusura del vano era stata realizzata in epoca successiva alla realizzazione del fabbricato e il successivo utilizzo dello stesso come deposito avevano reso il locale come un “volume autonomo”. In sostanza, il Comune sosteneva che il corridoio avrebbe dovuto essere considerato separatamente dal resto dell’edificio perché nel tempo aveva assunto uno scopo diverso rispetto alla sua originaria destinazione.
Inoltre, tale intervento, seppur realizzato su un edificio molto risalente, era stato realizzato nel “borgo antico” della città, sicché, quand’anche anteriore al 1967, avrebbe comunque dovuto essere previamente assentito, ai sensi della L. 1150/1942 che richiedeva la licenza edilizia per gli interventi da realizzarsi “nei centri abitati” (sul tema, per approfondimenti, si veda la nota: Immobili ante 1967, quando è necessario il titolo edilizio).

VOLUME DELL’EDIFICIO E DESTINAZIONE D’USO C. Stato 22/03/2024, n. 2798 ha innanzitutto spiegato che il volume di un edificio, espresso in metri cubi vuoto per pieno, è costituito dalla sommatoria della superficie delimitata dal perimetro esterno dei vari piani per le relative altezze effettive misurate da pavimento a pavimento del solaio sovrastante. L’inclusione nella stessa di un determinato locale, dunque, prescinde dalla finalizzazione dello stesso a mero transito per accedere ad altre stanze, ovvero, una volta venuta meno ridetta necessità, a magazzino/deposito.
La destinazione d’uso, infatti – si legge nella sentenza – ammesso e non concesso possa assumere rilievo quella di una porzione del manufatto comunque a servizio dell’intero, non implica certo la decurtazione dal computo, ovvero la sua inclusione solo in ragione di ridetta mutata finalizzazione.

STATO LEGITTIMO, VALENZA DEI DATI CATASTALI E DEI TITOLI ABILITATIVI SUCCESSIVI ALL’EDIFICAZIONE – Ciò posto i giudici hanno ricordato che solo con l’art. 10 della L. 765/1967 (entrata in vigore il 01/09/1967), l’obbligo di licenza edilizia è stato esteso a tutti gli interventi edilizi (intesi quali nuove costruzioni, ampliamenti, modifiche e demolizioni di manufatti esistenti, nonché opere di urbanizzazione) eseguiti sull’intero territorio comunale. In precedenza, l’art. 31, comma 1, della L. 1150/1942 lo prevedeva solo per certi interventi edilizi e limitatamente ad alcune zone territoriali, ovvero, per quanto qui di interesse, i centri abitati e, ove esisteva il piano regolatore comunale, anche le zone di espansione ivi espressamente indicate, salvo quanto dettato per altre zone o per tutto il territorio comunale dal Regolamento edilizio, accompagnato o meno dal Programma di fabbricazione comunale.
Al fine di agevolare la prova di tale stato legittimo dell’immobile, laddove si tratti di manufatti che insistono in loco da molti anni, il legislatore ha introdotto il comma 2-bis nell’art. 9-bis del D.P.R. 380/2001 (D.L. 76/2020) che consente di attingere ai titoli abilitativi relativi non solo alla sua originaria edificazione, ma anche alle sue successive vicende trasformative.
Orbene, nel caso di specie il corridoio risultava presente in catasto già in epoca risalente e ciò trovava conferma in tutte le indicazioni catastali depositate dall’appellante, nonché nella rappresentazione dello stato dei luoghi al momento della presentazione dell’istanza di rilascio della concessione edilizia del 2000. In assenza del titolo originario di realizzazione del fabbricato (con conseguente prova dell’apertura originaria verso la strada del corridoio), secondo il Consiglio non era stata raggiunta la prova della chiusura solo in epoca successiva.
Sul tema si veda anche la Nota: Stato legittimo degli immobili.

DEFINIZIONE DI CENTRO ABITATO – Secondo il Consiglio, inoltre, l’ubicazione del fabbricato nel c.d. “borgo antico” non implica la sua riconduzione a ciò che, secondo le indicazioni pianificatorie dell’epoca, doveva essere perimetrato come centro abitato.
Ed infatti la definizione di centro abitato non è rinvenibile in termini univoci, per cui occorre far riferimento a criteri empirici elaborati dalla giurisprudenza. Esso trova ora riscontro nell’art. 3, D. Leg.vo 30/04/1992, n. 285 (Codice della strada), che in un’ottica finalistica di diversificazione delle regole di circolazione stradale, lo identifica in un “insieme di edifici, delimitato lungo le vie di accesso dagli appositi segnali di inizio e fine“. Va dunque individuato nella situazione di fatto costituita dalla presenza di un aggregato di case continue e vicine, comunque suscettibile di espansione, ancorché intervallato da strade, piazze, giardini o simili.
La sua rilevanza urbanistica discende dalla L. 765/1967 (cosiddetta legge ponte) che introducendo l’art. 41-quinquies nella L. 1150/1942, lo utilizza quale concetto per disciplinare l’edificazione nei comuni privi di piano regolatore o di programma di fabbricazione e, quindi, dal D.M. 01/04/1968, n. 1404, in ordine alle distanze dell’edificazione dal nastro stradale.
Non risponde dunque al preciso disposto del richiamato art. 41-quinquies, comma 6, della L. 1150/1942, assimilare ciò che nel lessico comune fa pensare all’originario nucleo abitato (il “borgo antico”, appunto), alla necessaria perimetrazione di una zona espressamente richiesta dalla legge.
Nel caso di specie dunque non risultava alcuna prova che per quella zona in quell’epoca fosse necessaria la licenza edilizia.

 

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