Utilizza la funzionalità di ricerca interna #finsubito.

Agevolazioni - Finanziamenti - Ricerca immobili

Puoi trovare una risposta alle tue domande.

 

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito
#finsubito news video
#finsubitoagevolazioni
Agevolazioni
Post dalla rete
Vendita Immobili
Zes agevolazioni
   


Le Sezioni Unite della Suprema Corte sono state chiamate a pronunciarsi sulla sorte dell’opposizione all’esecuzione proposta dal consumatore che eccepisca l’abusività delle clausole del contratto in base al quale era stato emesso il decreto ingiuntivo, poi non opposto.

IL FATTO

In particolare, la fattispecie attiene all’emissione di un decreto ingiuntivo in favore di un professionista a suo tempo non impugnato dal consumatore, il quale – in sede di procedura esecutiva per il soddisfo del credito ingiunto – contesti l’omesso esame, da parte del Giudice del procedimento monitorio, della presenza di una clausola contraria alle norme sul foro competente (e, dunque, una clausola vessatoria) nel contratto fonte dell’obbligazione e, conseguentemente, chieda al Giudice dell’esecuzione, dinanzi al quale si procede per la vendita e la soddisfazione del credito, di accertare la nullità del decreto ingiuntivo, in quanto emesso da un Giudice territorialmente incompetente.

L’opposizione all’esecuzione proposta dal consumatore veniva rigettata dal Tribunale di Busto Arsizio, sul presupposto del passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo non opposto nei termini e della conseguente impossibilità di far valere, in sede di opposizione all’esecuzione, questioni che si sarebbero dovute proporre in sede di opposizione al decreto ingiuntivo.

La vicenda veniva posta all’esame della Corte di Cassazione, innanzi alla quale il consumatore eccepiva “la violazione e/o errata interpretazione della direttiva 93/13 e dell’art. 19 del TUE, con riferimento al principio di effettività della tutela del consumatore, mettendo in discussione l’impossibilità, a fronte di decreto ingiuntivo non opposto, sia di “un secondo controllo d’ufficio nella fase dell’esecuzione sulla abusività delle clausole contrattuali”, sia di “una successiva tutela, una volta spirato il termine per proporre opposizione nei confronti del decreto ingiuntivo”.

Anche alla luce delle conclusioni formulate dal Pubblico Ministero, che evidenziava “…la particolare rilevanza della questione e la situazione di grave incertezza interpretativa determinata dalle quattro recenti sentenze del 17 maggio 2022 della Corte di Giustizia …”, la questione veniva rimessa dal Primo Presidente alle Sezioni Unite.

Tale pronuncia si è, quindi, resa necessaria al fine di trovare una soluzione che, nell’ambito dell’ordinamento processuale, consenta di uniformare il diritto interno alla giurisprudenza della CGUE (tra le altre: le sentenze Pannon, Banco Espanol de Credito, Aziz, Profi Credit Polska;, le sentenze: 9.11.2010, in C-137/08, VB Pénzügyi Lízing; 11.3.2020, in C-511/17, Lintner; 4.6.2020, in C-495/19, Kancelaria Medius; 30.6.2022, in C-170/21, Profi Credit Bulgaria), in modo da assicurare al consumatore una tutela effettiva alla luce e in linea con i principi enunciati dai Giudici di Lussemburgo.

La Corte di Giustizia aveva fornito un’indicazione precisa, evidenziando che gli artt. 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE del 5 aprile 1993, relativi alle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, “… devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell’esecuzione non possa – per il motivo che l’autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità – successivamente controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole”.

Volendo sintetizzare l’iter argomentativo sostenuto dai Giudici europei, gli stessi hanno evidenziato che la normativa nazionale deve fornire adeguati mezzi per far cessare l’inserimento di clausole abusive nei contratti stipulati tra professionisti e consumatori e, conseguentemente, il Giudice nazionale – proprio al fine di supplire allo squilibrio esistente tra consumatore e professionista – è tenuto a esaminare d’ufficio, e motivare, in ordine alla sussistenza o meno del carattere abusivo delle suddette clausole. Tale obbligo incombente sul Giudice nazionale sarebbe privato del suo contenuto laddove la normativa nazionale riconoscesse autorità di giudicato a una decisione emessa in assenza di una motivazione in tal senso.

Ne discende, secondo il principio chiaramente espresso dalla CGUE nella sentenza del 17 maggio 2022 in cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C-831/19, Banco di Desio e della Brianza, che “Ove il consumatore non abbia fatto opposizione avverso un decreto ingiuntivo non sorretto da alcuna motivazione in ordine alla vessatorietà delle clausole presenti nel contratto concluso con il professionista e posto a fondamento del credito azionato da quest’ultimo, la “valutazione” (il “controllo”) sull’eventuale carattere abusivo di dette clausole deve poter essere effettuata dal giudice dell’esecuzione dinanzi al quale si procede per la soddisfazione di quel credito”.

Alla luce di tale contesto comunitario, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, è stata chiamata al delicato compito di armonizzare e uniformare il nostro ordinamento alle regole comunitarie espresse dalla CGUE, esplicitando le modalità attraverso cui i giudici nazionali dovranno affrontare le questioni relative alle clausole vessatorie, il tutto atteso il carattere vincolate delle decisioni emesse dalla CGUE, fonte di diritto comunitario.

In tale ottica, e al fine di garantire adeguata tutela agli interessi del consumatore, considerato parte debole del rapporto contrattuale, la Suprema Corte ha quindi posto a fondamento della propria decisione il dovere del giudice del procedimento monitorio di verificare d’ufficio l’assenza di clausole abusive nel contratto concluso tra professionista e consumatore.

Nell’ipotesi di inattività del Giudice nella fase monitoria, tale verifica può essere effettuata d’ufficio dal Giudice dell’esecuzione; precisa la Suprema Corte, nella sentenza in commento, che “solo grazie ad un intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale … ossia nella sede processuale, tramite il dovere del giudice investito dell’istanza di ingiunzione di esaminare d’ufficio il carattere abusivo della clausola contrattuale e di dare conto degli esiti di tale controllo” si può riequilibrare il rapporto tra professionista e consumatore; sicché, l’eventuale inattività del giudice nel procedimento monitorio “ove non rimediabile in una sede successiva … impedirebbe definitivamente di colmare proprio nel processo quel dislivello sostanziale esistente tra i contraenti, facendo gravare la violazione del rilievo officioso della abusività della clausola negoziale sul consumatore”.

L’inattività del Giudice del monitorio impedirebbe, quindi, che la decisione adottata in tale sede possa dar luogo alla formazione di un giudicato e consentirebbe, nella successiva fase esecutiva, la possibilità, che “… il giudice dell’esecuzione possa valutare, anche per la prima volta, l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto alla base di un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore e contro il quale il debitore non ha proposto opposizione”.

IL PRINCIPIO DI DIRITTO

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, hanno quindi enunciato i principi di diritto che devono essere seguiti dal Giudice nella fase monitoria, esecutiva e di cognizione.

Come già evidenziato, la Corte ha affermato il principio secondo cui il Giudice del monitorio è tenuto a compiere, d’ufficio, il controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore.

Tale previsione è, secondo quanto riferito dalla stessa, conforme al diritto interno che, agli artt. 633 – 644 c.p.c., prevede che il Giudice del monitorio debba verificare i presupposti – di fatto e di diritto – della concessione dell’ingiunzione e, quindi, debba accertare la validità o meno delle clausole contrattuali poste alla base dell’ingiunzione. Nell’effettuare tale verifica, dovrà “… procede in base agli elementi di fatto e di diritto in suo possesso, integrabili, ai sensi dell’art. 640 c.p.c., con il potere istruttorio d’ufficio, da esercitarsi in armonia con la struttura e funzione del procedimento d’ingiunzione”.

In particolare, il Giudice potrà “sollecitare il ricorrente a provvedere alla prova del credito … a tal fine richiedendo che sia prodotta pertinente documentazione (anzitutto, il contratto su cui si basa il credito azionato) e/o che siamo forniti i chiarimenti necessari”.

Tuttavia, come precisato in sentenza, il potere istruttorio del Giudice deve essere esercitato in armonia con le caratteristiche proprie del procedimento di ingiunzione e, quindi, con la struttura e finalità di una fase inaudita altera parte; ne discende, ad avviso della Corte, che – ove tale accertamento si presenti particolarmente complesso (richiedendo, ad esempio, assunzione di prove testimoniali o espletamento di una consulenza tecnica) – il Giudice “dovrà rigettare l’istanza d’ingiunzione, che il ricorrente, se riterrà, potrà comunque riproporre (evidentemente sulla scorta di ulteriori e più congruenti elementi probanti), o, invece, affidarsi alla “via ordinaria” (art. 640, ultimo comma, c.p.c.)”.

All’esito di tale controllo il Giudice, se rileva l’abusività della clausola, si pronuncerà in ordine al rigetto o all’accoglimento parziale del ricorso. Se, al contrario il controllo sull’abusività delle clausole sarà negativo, pronuncerà decreto motivato, ai sensi dell’art. 641 c.p.c., anche in relazione alla effettuata delibazione.

In conformità al sistema delineato dalla Corte europea, il Giudice, quindi, ai sensi dell’art. 641 c.p.c. sarà tenuto a motivare la propria decisione: “Una tale motivazione esige che nel decreto sia individuata, con chiarezza, la clausola del contratto (o le clausole) che abbia(no) incidenza sull’accoglimento, integrale o parziale, della domanda del creditore e che ne escluda, quindi, il carattere vessatorio”.

Sarà, poi, necessario inserire espressamente nel decreto ingiuntivo l’avvertimento che “nel termine di quaranta giorni può essere fatta opposizione al decreto ingiuntivo e che, in mancanza di opposizione, si procederà ad esecuzione forzata”; in mancanza di opposizione, quindi, il debitore consumatore non potrà più far valere l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e il decreto non opposto diventerà irrevocabile.

Nell’ipotesi in cui tale verifica non sia stata effettuata in sede monitoria, l’eventuale abusività delle clausole contrattuali potrà essere accertata in fase esecutiva: “In assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell’abusività delle clausole, il giudice dell’esecuzione (G.E.), sino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito, ha il potere/dovere di rilevare d’ufficio l’esistenza di una clausola abusiva che incida sulla sussistenza o sull’entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo”.

Anche in tale ipotesi, il Giudice dell’esecuzione, ove non sia possibile decidere sulla base degli elementi di diritto e di fatto in suo possesso, dovrà provvedere – nel contraddittorio tra le parti – ad una sommaria istruttoria.

Lo stesso dovrà altresì indicare al consumatore esecutato il rimedio in suo favore: “Se rileva il possibile carattere abusivo di una clausola contrattuale, ma anche se ritenga che ciò non sussista, ne informa le parti e avvisa il debitore consumatore (ciò che varrà come interpello sull’intenzione di avvalersi o meno della nullità di protezione) che entro 40 giorni da tale informazione – che nel caso di esecutato non comparso è da rendersi con comunicazione di cancelleria – può proporre opposizione a decreto ingiuntivo e così far valere (soltanto ed esclusivamente) il carattere abusivo delle clausole contrattuali incidenti sul riconoscimento del credito oggetto di ingiunzione”.

A parere della Corte, dunque, lo strumento migliore per consentire al debitore di far valere l’abusività delle clausole una volta scaduti i termini per l’opposizione è quello dell’opposizione tardiva di cui all’art. 650 c.p.c. che è stato, tuttavia, rimodulato rispetto alla previsione codicistica.

Come noto tale istituto dell’opposizione tardiva presuppone, quale condizione legittimante, la sussistenza di “caso fortuito o forza maggiore“. Tali requisiti – a dire della Corte – possono essere rinvenuti proprio nell’omessa motivazione del decreto ingiuntivo in relazione all’esistenza e/o inesistenza di clausole abusive nel contratto e nel mancato avvertimento circa la possibilità di far valere l’abusività entro un certo termine; se il decreto ingiuntivo non motiva sul punto, ciò costituisce – per il consumatore – ragione non imputabile della mancata opposizione tempestiva e quindi causa legittimante il ricorso all’istituto dell’opposizione tardiva.

Si legge, in particolare nella sentenza: “In tale specifica prospettiva, quindi, le indicate carenze formali del decreto monitorio vengono a configurare per il consumatore, privo della necessaria informazione per esercitare con piena consapevolezza i propri diritti, una causa non imputabile impeditiva della proposizione tempestiva dell’opposizione sul profilo della abusività delle clausole contrattuali e, dunque, il requisito richiesto dall’art. 650 c.p.c. per accedere all’opposizione tardiva”.

Le Sezioni Unite hanno, poi, rilevato che il termine di dieci giorni dal primo atto di esecuzione quale termine ultimo per proporre opposizione tardiva ex art. 650, 3 comma c.p.c. non sarebbe congruo e, disapplicando il relativo comma, hanno statuito che il termine entro cui il debitore può far valere l’abusività delle clausole debba essere quello di quaranta giorni.

Si è inoltre precisato che, prima della scadenza di detto termine, il Giudice non potrà procedere alla vendita o all’assegnazione del bene credito pignorato e che se il debitore ha già proposto opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. “il giudice adito riqualificherà l’opposizione come opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e rimetterà la decisione al giudice di questa, fissando un termine non inferiore a 40 giorni per la riassunzione”.

Il Giudice dell’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., “una volta investito dell’opposizione (solo ed esclusivamente sul profilo di abusività delle clausole contrattuali), avrà il potere di sospendere, ex art. 649 c.p.c., l’esecutorietà del decreto ingiuntivo, in tutto o in parte, a seconda degli effetti che l’accertamento sull’abusività delle clausole potrebbe comportare sul titolo giudiziale” e procederà secondo le forme di rito.

La Suprema Corte ha, altresì, motivato in ordine alla scelta di ricorrente allo strumento dell’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., ritendo – tra le varie considerazioni – che lo stesso possa offrire una tutela effettiva al consumatore, potendo tale azione essere esperita non solo dopo, ma anche anteriormente all’esecuzione, evitando in tal modo di subire l’esecuzione prima di un effettivo controllo sulla vessatorietà delle clausole contrattuali. Il consumatore sarebbe, altresì, garantito dal potere, riconosciuto al giudice dell’opposizione tardiva, di sospendere l’esecutorietà del titolo giudiziario, evitando che il bene venga venduto o il credito venga assegnato.

____
*A cura dell’avv. Antonino La Lumia e dell’avv. Claudia Carmicino (Lexalent)

 

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Informativa sui diritti di autore

La legge sul diritto d’autore art. 70 consente l’utilizzazione libera del materiale laddove ricorrano determinate condizioni:  la citazione o riproduzione di brani o parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi qualora siano effettuati per uso di critica, discussione, insegnamento o ricerca scientifica entro i limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera citata o riprodotta.

Vuoi richiedere la rimozione dell’articolo?

Clicca qui

 

 

 

Per richiedere la rimozione dell’articolo clicca qui

La rete #dessonews è un aggregatore di news e replica gli articoli senza fini di lucro ma con finalità di critica, discussione od insegnamento,

come previsto dall’art. 70 legge sul diritto d’autore e art. 41 della costituzione Italiana. Al termine di ciascun articolo è indicata la provenienza dell’articolo.

Il presente sito contiene link ad altri siti Internet, che non sono sotto il controllo di #adessonews; la pubblicazione dei suddetti link sul presente sito non comporta l’approvazione o l’avallo da parte di #adessonews dei relativi siti e dei loro contenuti; né implica alcuna forma di garanzia da parte di quest’ultima.

L’utente, quindi, riconosce che #adessonews non è responsabile, a titolo meramente esemplificativo, della veridicità, correttezza, completezza, del rispetto dei diritti di proprietà intellettuale e/o industriale, della legalità e/o di alcun altro aspetto dei suddetti siti Internet, né risponde della loro eventuale contrarietà all’ordine pubblico, al buon costume e/o comunque alla morale. #adessonews, pertanto, non si assume alcuna responsabilità per i link ad altri siti Internet e/o per i contenuti presenti sul sito e/o nei suddetti siti.

Per richiedere la rimozione dell’articolo clicca qui