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FATTISPECIE – Il Tribunale in funzione di giudice dell’esecuzione aveva respinto l’istanza presentata dalla ricorrente volta ad ottenere la sospensione o la revoca dell’ordine di demolizione di alcune opere realizzate abusivamente per le quali aveva presentato domanda di condono. La ricorrente sosteneva l’illegittimo esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge ad organi amministrativi, per essersi sostituito al Comune nella valutazione dei presupposti e delle condizioni per accedere ai benefici del richiesto condono edilizio; inoltre invocava l’applicazione della deroga ai limiti volumetrici per la condonabilità delle opere prevista dall’art. 39, L. 724/1994 in caso di annullamento della concessione edilizia.

La Corte di Cassazione penale, con la sentenza del 03/02/2021, n. 4279, ha respinto il ricorso sulla base delle seguenti considerazioni.

PRESUPPOSTI PER LA REVOCA O SOSPENSIONE DELL’ORDINE DI DEMOLIZIONE – Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, la revoca o la sospensione dell’ordine di demolizione delle opere abusive, di cui all’art. 31, D.P.R. 380/2001, in conseguenza della presentazione di una istanza di condono o sanatoria successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, presuppone l’accertamento da parte del giudice dell’esecuzione della sussistenza di elementi che facciano ritenere plausibilmente prossima la adozione da parte della autorità amministrativa competente del provvedimento di accoglimento, non potendo la tutela del territorio essere rinviata indefinitamente.

In termini più generali, in siffatti casi, il giudice dell’esecuzione è tenuto a esaminare i possibili esiti ed i tempi di conclusione del procedimento amministrativo e, in particolare:
a) il prevedibile risultato dell’istanza e la sussistenza di eventuali cause ostative al suo accoglimento;
b) la durata necessaria per la definizione della procedura, che può determinare la sospensione dell’esecuzione solo nel caso di un suo rapido esaurimento.

Il giudice dell’esecuzione che compia detto accertamento – come avvenuto nella fattispecie – dunque, esercita un potere-dovere connesso ad un accertamento incidentale funzionale al provvedimento (di sospensione o revoca dell’ordine di demolizione) che egli è tenuto ad adottare su istanza dell’interessato ed in alcun modo si sostituisce alla valutazione del competente organo amministrativo esercitando le potestà al medesimo riservate, potestà che potranno e dovranno essere invece esercitate dal Comune in conformità alla disposizioni che ne regolano l’esercizio con provvedimento eventualmente sindacabile in sede di giustizia amministrativa.

DEROGA AI LIMITI DI CUBATURA – Ai sensi dell’art. 39, L. 724/1994, i limiti di cubatura previsti per la condonabilità delle opere rispetto alla volumetria assentita non trovano applicazione nel caso di annullamento della concessione edilizia. In proposito la Corte ha specificato che tale deroga si riferisce al caso in cui l’opera abusiva sia stata realizzata in forza di un provvedimento successivamente annullato dall’autorità amministrativa o dal giudice amministrativo. La ratio della previsione è, evidentemente, quella di consentire una più ampia condonabilità a coloro che abbiano edificato in forza di un titolo bensì illegittimamente – o illecitamente – rilasciato, ma soltanto quando il formale riconoscimento del vizio, con conseguente annullamento, sia intervenuto ex post. Di conseguenza l’eccezione non si verifica qualora le opere siano già ab origine sine titulo, come risultava nel caso di specie, essendo iniziate quando la concessione edilizia era già di per sé divenuta inefficace.

In ogni caso i manufatti abusivi risultavano di cubatura ben maggiore rispetto a quelli assentiti con l’originaria concessione edilizia, in quanto il confronto andava operato con riguardo ai singoli, distinti, fabbricati pur oggetto della medesima concessione e non già, invece, alla complessiva cubatura degli edifici autorizzati e, in parte, non realizzati. Rispetto al titolo – pur divenuto inefficace, e dunque giuridicamente inesistente già dall’inizio dei lavori – quanto realizzato era dunque un aliud pro alio, con conseguente impossibilità di richiamare la disposizione in deroga in discorso.

 

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