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Nota a Trib. Lecce, 23 marzo 2021, n. 822.

di Antonio Zurlo

 

 

 

 

Nel caso di specie, parte attrice poneva in via principale la questione dell’usurarietà del mutuo, per eccedenza degli interessi convenuti rispetto al tasso soglia. A tal riguardo, deve aversi riguardo al c.d. TAEG, nel cui computo devono ritenersi ricompresi gli interessi corrispettivi, gli interessi di mora e i costi accessori, ovvero tutte le spese direttamente connesse al finanziamento (commissioni, le spese e oneri collegati alla erogazione del credito), escluse imposte e tasse.

La giurisprudenza di legittimità, a cui il Tribunale di Lecce aderisce, per quanto includa gli interessi moratori all’interno dei costi del credito, esclude che si debba procedere a una sommatoria tra interessi corrispettivi e moratori, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia, trattandosi di due tassi distinti e alternativi tra loro[1]. Gli interessi convenzionali di mora si calcolano, infatti, sulla rata scaduta e non sul capitale residuo, come quelli corrispettivi, e, pertanto, non possono essere sommati a quest’ultimi, perché evidentemente riferiti a una base di calcolo diversa. Il TAEG viene, quindi, elaborato tenendo conto di tutti gli oneri connessi al rapporto contrattuale, ovvero di interessi corrispettivi, moratori, anatocistici, nonché di tutte le commissioni, spese e provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedano una remunerazione a favore del mutuante, escluse soltanto quelle per imposte e tasse[2]. Sul tema del computo degli interessi moratori, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di rilevare che «nei rapporti bancari, gli interessi corrispettivi e quelli moratori contrattualmente previsti vengono percepiti ricorrendo presupposti diversi ed antitetici, giacché i primi costituiscono la controprestazione del mutuante e i secondi hanno natura di clausola penale in quanto costituiscono una determinazione convenzionale preventiva del danno da inadempimento. Essi, pertanto, non si possono tra di loro cumulare. Tuttavia, qualora il contratto preveda che il tasso degli interessi moratori sia determinato sommando al saggio degli interessi corrispettivi previsti dal rapporto, un certo numero di punti percentuale, è al valore complessivo risultante da tale somma, non solo ai punti percentuali aggiuntivi, che occorre avere riguardo al fine di individuare il tasso degli interessi moratori effettivamente applicati»[3].

Per quanto riguarda le conseguenze della riscontrata usurarietà del tasso di interessi, si aderisce a quell’orientamento giurisprudenziale, che si fonda sulla letteralità del secondo comma dell’art. 1815 c.c., per cui il debitore non sia più tenuto al pagamento della quota dovuta a titolo di interessi, ma solo della sorte capitale residua. Difatti, la disposizione codicistica da ultimo richiamata, in virtù della quale «se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi» viene interpretata in seno alla giurisprudenza di legittimità come norma avente contenuto sanzionatorio, in quanto finalizzata a contrastare la sproporzione oggettiva tra le prestazioni, con la conversione del mutuo da oneroso a gratuito. Secondo tale concezione, in caso di usurarietà del tasso applicato al finanziamento, il mutuatario è consequenzialmente tenuto a restituire la sola sorte capitale, al netto degli interessi. La conversione del mutuo fa sorgere in capo al mutuatario il diritto alla ripetizione degli interessi indebitamente versati, in quanto usurari. Pertanto, l’esatto importo di dare – avere tra le parti deve essere ricalcolato detraendo dalla somma dovuta a titolo di sorte capitale, per le rate ancora a scadere, l’importo versato a titolo di interessi.

Acclarata la diversa natura tra interessi corrispettivi e moratori, la loro non cumulabilità e la soggezione degli interessi moratori alla normativa antiusura (al pari degli interessi corrispettivi) e ribadito che il legislatore, all’art. 1815, secondo comma, c.c., ha voluto sanzionare la pattuizione di interessi sopra soglia, si deve ritenere che, in presenza di interessi moratori usurari, si configura una ipotesi di c.d. usura oggettiva, per effetto della quale il mutuo da oneroso si converte in gratuito (c.d. principio della gratuità del mutuo). Più di recente le Sezioni Unite Civili[4], nel risolvere il contrasto giurisprudenziale sulla applicabilità o meno della disciplina antiusura agli interessi di mora, hanno affermato che «La disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso»; nello stesso pronunciamento, il massimo consesso della giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di chiarire, altresì, che, in caso di accertata usurarietà del tasso di mora, «Si [debba] applica[re] l’art. 1815 c.c., comma 2, onde non sono dovuti gli interessi moratori pattuiti, ma vige l’art. 1224 c.c., comma 1, con la conseguente debenza degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente convenuti.».

Ciò premesso, nel caso di specie, il Tribunale di Lecce ha: accolto la domanda attorea di accertamento della nullità parziale, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1815 e 1419 c.c., del contratto di mutuo stipulato con la Banca convenuta, a fronte dell’accertata usurarietà delle competenze bancarie, conseguendone la perdita di tutti gli interessi e competenze; condannato l’Istituto alla restituzione degli interessi e competenze percepiti; dichiarato la debenza, per le rate ancora a scadere, della sola sorte capitale, da versarsi secondo l’originario piano di ammortamento.

 

 

Qui la decisione.


[1] Cfr. Cass. n. 17447/2019.

[2] Sulla ricomprensione degli interessi moratori all’interno del TAEG, Cass. n. 350/2013.

[3] Cfr. Cass. n. 26286/2019.

[4] Il riferimento è a Cass. Civ., Sez. Un., 18 settembre 2020, n. 19597.


 

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