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Perché fa discutere il decreto del governo che, con la tassa sui cosiddetti extraprofitti delle banche, intende aiutare chi ha sottoscritto un mutuo a tasso variabile

È forse la misura che più sta facendo sentire i suoi effetti, a livello di performance in Borsa e di commenti politici e tecnici. Parliamo della tassa sui cosiddetti extraprofitti delle banche, contenuta nel decreto Asset approvato lunedì sera dal consiglio dei ministri, che secondo le intenzioni del governo dovrebbe andare in soccorso degli italiani con mutuo a tasso variabile che hanno visto aumentare la rata mensile – talvolta anche parecchio – a causa dei rialzi dei tassi decisi dalla Bce di Christine Lagarde.

Stamattina Matteo Salvini, vicepresidente del Consiglio e ministro dei Trasporti,  lo ha ripetuto ai microfoni di Radio Anch’io, la trasmissione in onda su Rai Radio 1. “Qualche banchiere si è rammaricato, però stiamo parlando di un settore che sta facendo miliardi e miliardi di euro di guadagni senza muovere un dito e quindi è un’opera di redistribuzione economicamente se socialmente doverosa”. Ha poi aggiunto che le risorse frutto della tassa “arriveranno a chi ha un mutuo che sta aumentando in maniera spropositata e finiranno in Legge di Bilancio per il taglio delle tasse e l’aumento degli stipendi. Le principali cinque banche italiane – ha detto ancora Salvini – nei primi sei mesi hanno fatto più di 10 miliardi di utile perché hanno aumentato i costi per chi ha un prestito, ma non hanno aumentato gli interessi ai risparmiatori. Quindi le banche sono state molto veloci ad aumentare i costi, ma non sono state altrettanto veloci ad aumentare gli interessi e stanno macinando miliardi e miliardi di euro, che stanno pagando gli italiani”.

I VERI NUMERI SUI MUTUI A TASSO VARIABILE

In realtà però, secondo quanto emerge da uno studio di Prometeia, basato su dati aggregati di Bankitalia e dedicato ai mutui e alla fragilità finanziaria delle famiglie italiane, solo il 18% dei mutui a tasso variabile erogati nel nostro Paese nel 2022 (circa 14 miliardi su un ammontare di 79 miliardi) a maggio scorso presentava le condizioni per rendere conveniente una surroga a tasso fisso. L’indagine, riportata dal Sole 24 Ore, cerca di capire il motivo per il quale in Italia gli incrementi sui tassi fissi siano stati molto più precoci rispetto agli adeguamenti del tasso variabile.

Un altro aspetto interessante che si rintraccia nello studio – e che aiuta a ridimensionare l’impatto della tassa – è che, sebbene i mutui a tasso variabile siano piuttosto diffusi (a dicembre 2022 il 40% del totale), il numero di famiglie che rischia di trovarsi seriamente in difficoltà all’aumentare della rata mensile è però limitato. Infatti, l’indagine rivela che il tasso variabile verrebbe preferito da persone generalmente non a basso reddito. Il conto è presto fatto: le famiglie nella fascia di reddito più basso nel nostro Paese sono circa 5,5 milioni e di queste solo l’1,8% – ovvero circa 99 mila – ha un mutuo a tasso variabile. Inoltre di queste non tutte ma la metà si trovano in condizioni finanziarie fragili. “Riteniamo che il quadro non sia preoccupante; anche se è vero che, pur non andando in difficoltà, le famiglie si trovano a dover tagliare i consumi – è il commento riferito da quotidiano confindustriale di Lea Zicchino, senior partner e responsabile practice analisi mercati e intermediari finanziari di Prometeia -. In prospettiva l’inflazione, in ogni caso, sta scendendo. È vero che i redditi nominali non sono aumentati quanto l’inflazione e per questo il reddito reale è sceso. Ma non prevediamo un aumento del tasso di default dei crediti, soprattutto per quelli legati ai mutui”.

LA LOTTA FRA CICALE E FORMICHE SUI MUTUI

Il dibattito sulla tassa si è, come dicevamo, subito acceso. Andrea Giuricin, economista e ceo di Tra consulting, si rifà alla tradizione esopica, parafrasando la favola della cicala e della formica. “C’era un giovane che si era comprato una casa con tanti sacrifici con un mutuo a tasso fisso – scrive su Twitter -. Lo aveva fatto per coprirsi dal rischio che i tassi potessero aumentare, chiaramente pagando qualcosa in più rispetto ad un tasso variabile. Poi arrivò l’aumento dei tassi e il giovane previdente era contento del suo tasso fisso. All’improvviso arrivò il provvido politico che disse che bisognava tassare gli extraprofitti delle banche e questi soldi sarebbero andati a chi aveva fatto il tasso variabile. Purtroppo le commissioni bancarie aumentarono per via dell’aumento di tassazione e il giovane che aveva fatto il tasso fisso dovette pagare di più i servizi bancari. Morale della favola? Non essere formica nel paese delle cicale. Ci sarà sempre un politico che prende alle formiche per dare alle cicale”.

I DUBBI DI PENATI

Piuttosto esitante sulla tassa anche l’economista Alessandro Penati che su Domani scrive: “Che la tassa sia poi un modo per alleviare il costo dei mutui sulle prime case è pura demagogia (ma, ahimè, efficace). Quanto dell’imposta verrà utilizzata come sussidio ai mutui? Con quali criteri? Chi si qualifica? E come verrà gestito questo ennesimo bonus, sussidio, agevolazione, che come i precedenti è causa solo di inefficienze, abusi e burocrazia?”. Secondo Penati, inoltre, “con questo scenario, tassare il margine oggi potrebbe rivelarsi un boomerang perché frena la propensione delle banche a erogare prestiti”.

A commento del tweet di Giuricin, proprio citando Penati, interviene Mario Seminerio: “Come spesso mi capita, sono d’accordo con Alessandro Penati. Questa è una manovra da disperazione finanziaria oltre che da posture populista bipartisan, e sarà un boomerang”, scrive il fondatore e animatore di Phastidio.net.

LA SORPRESA DI MARATTIN

E’ poi un altro economista, il parlamentare Luigi Marattin del gruppo Azione-Italia Viva, a sottolineare una novità dell’ultimo momento: “La lettura del decreto approvato ieri ci riserva altre sorprese: il gettito non va ad aiutare chi ha in essere un mutuo a tasso variabile, ma semplicemente a rimpinguare il fondo che concede garanzie per chi deve accendere un nuovo mutuo ora”.



 

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