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Nota a Trib. Cremona, Sez. I, 12 gennaio 2022, n. 12 gennaio 2022.

di Antonio Zurlo

 

Con la recente sentenza in oggetto, il Tribunale di Cremona, trascendendo i confini della dissertazione in punto di diritto, per approdare a una sorta di saggistica in materia di matematica finanziaria, giunge a disattendere gli esiti della consulenza tecnica d’ufficio, poiché, in primo luogo, proponente cliché comuni, in tema di analisi del piano di ammortamento degli interessi, e, in secondo, errata nelle affermazioni o, laddove, queste siano parzialmente corrette, sbagliate sono le conseguenze derivanti, sì come, del pari, i criteri adottati per la quantificazione degli interessi conseguenti all’applicazione del regime semplice.

Il giudice cremonese, nella sua rivendicata veste di peritus peritorum (pag. 18), evidenzia, tra le altre, numerose, censure, come la rata calcolata dal CTU sia di importo diverso rispetto a quella indicata contrattualmente, senza addurre alcuna ragione giustificatrice (pag. 18). Inoltre, a giudizio del consulente, con la metodologia di ammortamento c.d. “alla francese” «il calcolo degli interessi…è sempre e comunque effettuato sul debito residuo, ovvero sul capitale che rimane da restituire al finanziatore»; pur tuttavia, tale assunto è corretto solo laddove il calcolo delle rate sia effettuato in regime finanziario di interesse composto, che, invero, non rappresenta la regola caratterizzante il sistema di ammortamento de quo, ma, più correttamente, una tra quelle conosciute, tutte abbinabili a tale metodologia di rimborso del debito (pag. 21). L’affermazione del CTU non può ritenersi vera quando per il calcolo delle rate si utilizzi il regime finanziario dell’interesse semplice.

Ancora, secondo il consulente, «il piano di ammortamento alla francese non comporta di per sé alcuna forma indebita di anatocismo, in quanto la rata ingloba interessi semplici e non composti, calcolati al tasso nominale sul residuo capitale da restituire. […] Una volta che l’interesse (insieme naturalmente alla quota capitale) viene corrisposto, il capitale torna ad evolvere depurato da qualsiasi accumulazione anatocistica, nonché ridotto per effetto della restituzione di una parte dello stesso tramite la quota capitale. Con questo meccanismo, la generazione di interessi su interessi, e quindi l’anatocismo, è del tutto preclusa.». Siffatta affermazione è perentoriamente qualificata come una ciclostilata riproposizione di statuizioni presenti in alcune sentenze di merito, a loro volta ricettive, acriticamente, di conclusioni peritali. Per contro, a giudizio del Tribunale cremonese, l’incoerenza di tale ragionamento è autoevidente, essendo finanche «percepibile anche sulla base di un procedimento del pensiero di livello non particolarmente elaborato e senza alcuna conoscenza approfondita della matematica finanziaria» (pag. 22). In sostanza, trattasi di una illogicità «a livello di “persona media”». Invero, nella descritta situazione, la quota di interessi è influenzata dalla quota di capitale, poiché il capitale residuo ad ogni scadenza dipende dalla quota capitale che, di tempo in tempo, gli viene sottratta, e che, a propria volta, dipende dall’importo della rata calcolata in regime composto. È, quindi, illogico concludere che la quota degli interessi delle singole rate non debba risentire degli effetti della capitalizzazione composta.    

La monografica incursione nella matematica finanziaria conduce alla dimostrazione che, in concreto, nel regime composto, utilizzato per il calcolo delle rate costanti dei due mutui attenzionati, si sia generato, per la parte mutuataria un significativo maggior onere, in termini di interesse, rispetto a quella che avutosi con l’adozione del regime semplice. La rilevanza, ai fini della determinazione del TEG, di siffatto “onere occulto” è già stata riconosciuta in alcuni pronunciamenti giurisprudenziali, sulla scorta del principio per cui l’applicazione del TAN indicato in contratto, senza alcuna specificazione del regime finanziario adottato, sia determinativa di una “sottostima” dell’onere gravante sul cliente, impossibilitato a percepire, fattivamente, la «diversa ed effettiva dimensione dell’ammontare complessivo degli interessi che viene generato dall’utilizzo del regime composto rispetto al regime in semplice.» (pag. 74). Ne consegue che l’ammontare della rata e il piano di ammortamento (dal quale ricavare gli interessi) non sono coerenti con gli elementi volitivi della pattuizione e, consequenzialmente, non possono assurgere a integrazione della medesima volontà contrattuale, che, in ossequio a quanto affermato, si fonda unicamente sul TAN, che, però, fornisce una “misura sottodimensionata” del costo dell’operazione. Ciò premesso, il giudice cremonese, sulla scorta delle indicazioni proposte da Banca d’Italia, procede con il calcolo dell’onere implicito relativo al differenziale di regime tra capitalizzazione composta e semplice, «pari al valore attuale della rata calcolato in capitalizzazione composta, moltiplicato per la rata semplice, così da ottenere l’importo, al quale è già stato sottratto l’onere implicito e occulto, derivante dalla capitalizzazione composta, ovvero moltiplicando la differenza della rata per il valore attuale, calcolato in regime composto, così da ottenere l’importo dell’onere occulto e implicito.».

Da ultimo, il Tribunale rileva come in nessuna delle pattuizioni contrattuali sia stato precisata la regola di calcolo della rata: difetto in costanza del quale la decisione della Banca di utilizzare il regime finanziario composto (generativo, per quanto sostenuto, di un incremento esponenziale degli interessi) è da considerarsi arbitraria e unilaterale. Inoltre, il piano di ammortamento versato in atti non recava sottoscrizione delle parti, non potendo, quindi, qualificarsi come integrativo della volontà contrattuale di queste ultime (pag. 85).

Affinché una clausola di determinazione di interessi corrispettivi, sulle rate di ammortamento scadute, sia valida, ai sensi dell’art. 1346 c.c., è bastevole che contenga un richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, obiettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del tasso; la determinazione per relationem è ammissibile laddove il contratto richiami criteri, prestabiliti, estrinseci, oggettivamente individuabili e funzionali alla determinazione, e, inoltre, non determinati unilateralmente dall’Istituto. Ne deriva la violazione del prefato art. 1284 c.c. nel caso in cui i criteri di calcolo non siano riportati, con esattezza, nel testo del contratto.

 

Qui la sentenza.  

 


 

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