La abnormità per carenza di potere in astratto ricorre quando il giudice esercita un potere non attribuitogli dall’ordinamento processuale: è quanto emerge dalla sentenza 10 novembre 2022, n. 42894 (testo in calce) della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione.
Il caso vedeva, nel corso di una udienza preliminare, un pubblico ministero modificare una delle imputazioni ascritte agli imputati; in sostanza, in luogo del delitto di concorso nei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, contestava il reato di concorso in bancarotta semplice. Il Gup, ritenendo corretta l’originaria contestazione, respingeva la richiesta e emetteva il decreto che disponeva il giudizio.
Avverso l’ordinanza propone ricorso per Cassazione il difensore degli accusati, denunciandone l’abnormità sotto il profilo strutturale, posto che esulava dagli aspetti demandati al vaglio del Gup, e funzionale, essendo stato il provvedimento adottato al dì fuori dei casi consentiti, posto che il potere di formulare l’imputazione è demandato al pubblico ministero e non al Gup che, nella fattispecie non si limitava a valutare la corretta qualificazione giuridica dei fatti contestati, ma aveva modificato l’imputazione.
L‘art. 423, comma 1, c.p.p., riguarda, oltre ai casi di emersione di un reato connesso o di una circostanza aggravante, l’ipotesi che nel corso dell’udienza preliminare il fatto risulti diverso da come descritto nell’imputazione. Per “fatto”, ai sensi della normativa in commento, deve intendersi “un dato empirico, fenomenico, un dato della realtà, un accadimento, un episodio della vita umana, cioè la fattispecie concreta e non la fattispecie astratta” (Cass. pen., Sez. Un., 19 giugno 1996, n. 16).
La nozione di “fatto diverso”, che legittima l’iniziativa modificatrice del PM, indipendentemente dal consenso dell’imputato, è quello con connotati materiali anche difformi da quelli descritti nel capo di imputazione, ma storicamente invariato nei suoi elementi costitutivi, inclusi i riferimenti spazio-temporali, sicché, se questi sono alterati, si tratta di un fatto nuovo (Cass. pen., Sez. IV, 10 febbraio 1998, n. 5405).
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Tale nozione si discosta quella elaborata, in una prospettiva funzionale, sul terreno del principio di correlazione tra accusa e sentenza, secondo cui per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa (Cass. pen., Sez. Un., 15 luglio 2010, n. 36551).
Dalle ipotesi di modifica dell’imputazione deve tenersi distinta la mera diversa qualificazione del fatto, in quanto la modifica dell’imputazione rientra nell’esercizio dell’azione penale e, quindi, è attribuita al potere-dovere del pubblico ministero e non del giudice; tuttavia, quest’ultimo può sempre dare al fatto una diversa qualificazione. Infatti, il giudice non può modificare il fatto oggetto dell’imputazione, ma, anche in sede di udienza preliminare, può dare al fatto il nomen iuris che ritiene corretto. Il potere del giudice di qualificare correttamente il fatto, sotto il profilo giuridico, si risolve nella esatta applicazione della legge, sicché non tollera limitazioni, così come non deve essere specificamente previsto, proprio perché è un connotato dell’esercizio della giurisdizione (Cass. pen., Sez. VI, 17 aprile 2012, n. 28481).
Rileva il Collegio che, nella fattispecie, a fronte dell’iniziativa della pubblica accusa, il rigetto del Gup presupponeva un giudizio di erroneità della modifica dell’imputazione e ha comportato una modifica del fatto, versandosi in una ipotesi di abnormità che, come ha evidenziato la Cassazione, più che rappresentare un vizio dell’atto in sé, integra sempre e comunque uno sviamento della funzione giurisdizionale. La modifica del fatto operata dal GUP ha dato corpo ad una ipotesi di abnormità per carenza di potere in astratto che ricorre quando il giudice esercita un potere non attribuitogli dall’ordinamento processuale (Cass. pen., Sez. Un., 26 marzo 2009, n. 25957).
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