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TREVISO – Ci sono i 28 milioni di euro concessi da Veneto Banca alla società veneziana Proven per ristrutturare palazzi storici in centro a Venezia. E i 54 milioni…

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TREVISO – Ci sono i 28 milioni di euro concessi da Veneto Banca alla società veneziana Proven per ristrutturare palazzi storici in centro a Venezia. E i 54 milioni erogati al colosso orafo Vimet (ora fallito) per permetterle di estinguere i debiti. Ma anche il capitale “gonfiato” a 37 milioni della Claren Immobiliare di Montebelluna per darle la possibilità di acquistare un centro commerciale da 25 milioni. Prestiti da capogiro a una ventina di imprenditori “amici” in tutto il Nord Est, senza le adeguate garanzie finanziarie. Così Vincenzo Consoli, ex amministratore delegato e poi direttore generale di Veneto Banca, avrebbe affossato l’ex popolare di Montebelluna, dichiarata insolvente nel 2018. Indagati, insieme a lui con l’accusa di bancarotta fraudolenta ci sono altre 11 persone, tra dirigenti, funzionari e consulenti. Tra loro spiccano i nomi dell’ex presidente Flavio Trinca, e di Michele Stiz, noto commercialista trevigiano, membro del consiglio sindacale (e figlio del compianto giudice Giancarlo Stiz che scoprì la matrice fascista dietro la strage di piazza Fontana). Oltre a “perorare la causa” delle proprie aziende – destinatarie di finanziamenti – Stiz avrebbe ottenuto una sovvenzione di 1,6 milioni per comprare un appartamento di lusso a Cortina. Trenta maxi operazioni, tra erogazioni di credito e indennizzi per eventuali deprezzamenti delle azioni: così gli indagati avrebbero svuotato le casse della banca: 320 milioni di euro dissipati. È quanto emerge dalle carte dell’inchiesta della Procura di Treviso, chiusa nei giorni scorsi e relativa al terzo filone del crac di Veneto Banca. 

IL MECCANISMO
Il meccanismo ricostruito dai pm Massimo De Bortoli e Gabriella Cama si snoda su un doppio binario. Da un lato ci sono i finanziamenti milionari erogati senza garanzie a “sodali”, nonostante i rischi di insolvenza. Dall’altro gli «indennizzi ingiustificati» riconosciuti a clienti e azionisti danarosi per il deprezzamenti delle azioni. Nella lunga lista c’è anche il salumificio Beretta. Operazioni camuffate dietro tecnicismi del lessico bancario come «storno commissionale», «rimborso contabile o per spese e competenze» e «sbilancio competenze per riliquidazione». In alcuni casi il denaro sarebbe servito a coprire posizioni debitorie nei confronti della stessa Veneto Banca che però avrebbe ricevuto in cambio la sottoscrizione di azioni. Come nel caso dell’operazione finalizzata all’acquisto delle azioni della Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana detenute dalla Cattolica Assicurazioni. La società si sarebbe impegnata a sottoscrivere l’aumento di capitale di Veneto Banca per un importo massimo di 10 milioni di euro. Peccato che nei vari passaggi l’ex popolare ci avrebbe rimesso, alla fine, più di 54 milioni. Tra i casi più clamorosi c’è quello della Vimet, ex colosso dell’oreficeria fallito nel 2017 sarebbe stato “foraggiato” con 54 milioni di euro nonostante la previsione di perdita superasse il 92%. Il prestito sarebbe servito a estinguere i debiti contratti con la banca popolare di Vicenza, dissimulando la reale insolvenza della società. Eppure i finanziamenti sono stati elargiti ugualmente. Ci sono poi i prestiti alla società veneziana Proven srl «destinati a speculazioni immobiliari» su palazzi storici del capoluogo lagunare, tra cui palazzo Gritti, palazzo ex Inail, palazzo Buttaro e Friedemberg. E ancora: il Gruppo De Vido che avrebbe ricevuto crediti tra cui uno scoperto finanziario di 9 milioni dato nel 2008 per consentire una “maggiore flessibilità operativa al cliente” e un prestito di 30 milioni di euro erogato nel 2010. A detta della Procura le società presentavano garanzie – prevalentemente immobiliari, ma anche fidejussioni – il cui valore veniva però gonfiato dalla banca. 

SOTTO INCHIESTA

Nel registro degli indagati, oltre a Consoli, Trinca e Stiz figurano anche Francesco Favotto, presidente del cda; Mosè Fagiani, condirettore di Veneto Banca; Romeo Feltrin, vicepresidente del comitato crediti; Daniele Scavaortz e Roberto Mescalchin membri dello stesso comitato; l’avvocato Pierluigi Ronzani (per una parcella legata a un’operazione inesistente); Mauro Angeli, amministratore unico della Vimet; Attilio Carlesso, consigliere di amministrazione di Veneto Banca dal 2008 al 2014 e presidente del collegio sindacale della Vimet; e Michele Barbisan, responsabile direzione territoriale della ex popolare. «Non ci sono prove che i consiglieri fossero pienamente a conoscenza delle operazioni approvate – ha spiegato il pm De Bortoli -. Riteniamo si tratti di operazioni che Consoli eseguiva personalmente o sulle quali dava indicazioni precise ai funzionari. In Veneto Banca non si muoveva foglia senza che lui lo decidesse o lo sapesse».

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