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>> AGGIORNAMENTO >> Pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge 19 ottobre 2017, n. 155 recante “Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza”.

PREMESSA – PRINCIPI GENERALI DELLA LEGGE DELEGA – ISTITUTI DELLA LEGGE DELEGA – a) LE PROCEDURE DI ALLERTA E COMPOSIZIONE ASSISTITA DELLA CRISI – b) LE PROCEDURE DI COMPOSIZIONE CONCORDATA DELLA CRISI i piani attestati di risanamento – accordi di ristrutturazione dei debiti – accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari e convenzioni di moratoria – concordato preventivo c) LA PROCEDURA DI LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE (EX FALLIMENTO)L’ ESDEBITAZIONE – LA PROCEDURA DI SOVRAINDEBITAMENTO – PRIVILEGI E GARANZIE MOBILIARI NON POSSESSORIE – TUTELA DEI DIRITTI PATRIMONIALI DEGLI ACQUIRENTI DI IMMOBILI DA COSTRUIRE – MODIFICHE AL CODICE CIVILE – LA LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA – CONCLUSIONE

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Premessa

Considerata la complessità e lo stratificarsi della normativa in materia di procedure concorsuali e le continue crisi cui sono sottoposte le imprese a causa del sovraindebitamento, il Governo, ha ritenuto di procedere ad una valutazione della normativa esistente e all’analisi di eventuali proposte di riordino. Il 28 gennaio 2015 è stato firmato dal Ministro della giustizia, il decreto di nomina della commissione per la riforma delle procedure concorsuali, composta da magistrati, docenti universitari e professionisti, presieduta dal Prof. Renato Rordorf, presidente della I sezione civile della Corte di cassazione e supportata da un comitato scientifico. In particolare, gli obiettivi della commissione avrebbero dovuto essere incentrati, tra gli altri, sulla:

  1. razionalizzazione della legge e semplificazione dei procedimenti previsti dalla legge fallimentare (anche in raccordo con la disciplina del processo civile telematico e della normativa dell’Unione europea ed in particolare del Regolamento (UE) 2015/848 del Parlamento Europeo e del Consiglio sulle procedure di insolvenza, oltre che delle raccomandazioni della Commissione n. 2014/135/UE), valutando in particolare l’opportunità di introdurre una specifica disciplina nazionale per l’insolvenza di gruppo;
  2. individuazione di misure idonee a incentivare l’emersione della crisi;
  3. indagine statistica, per il periodo 2010-2014, della durata e degli esiti dei procedimenti di concordato preventivo e di fallimento con l’adozione delle conseguenti misure funzionali;
  4. individuazione di linee generali di riforma delle procedure concorsuali;
  5. ricognizione di linee di raccordo, da definirsi con il Ministero dello sviluppo economico, relative alla riforma della normativa riguardante l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.

In data 29/12/2015 è stato presentato lo schema definitivo di disegno di legge delega recante “Delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza”, elaborato dalla Commissione ministeriale istituita dal Ministro della Giustizia. In data 11/2/2016 il Consiglio dei Ministri ha licenziato, con alcune modifiche, la legge delega passata al Parlamento atto camera C 3671 Assegnato alla II Commissione Giustizia in sede Referente il 31 marzo 2016.

Nella seduta della Commissione del 18/5/2016 la Presidenza ha statuito lo stralcio, con il n. 3671-ter e con il titolo “Delega al Governo in materia di Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza”, dell’art. 15 assegnato alla X Commissione (Attività Produttive). Quanto precede per abbinare il disegno di legge costituito da questo nuovo articolo alla proposta di legge C. 865 Abrignani, vertente anch’essa sulla materia dell’amministrazione straordinaria e già assegnata alle Commissioni Riunite II (Giustizia) e X (attività Produttive). Questa delega si compone di un unico articolo con l’intento di riformare organicamente la disciplina della A.S. di cui al decreto legislativo 8/7/1999, n. 270 e al decreto legge 23/12/2003, n. 347, convertito con modificazione dalla legge 18/2/2004, n. 39 e successive modificazioni (c.d. amministrazione straordinaria “speciale”). Tale disegno di legge delega approvato dalla Camera dei deputati in data 10/5/2017 è approdando in Senato in data 11/5/2017 con il numero 2831. E’ tuttora in corso l’ esame in Commissione.

La restante parte del disegno di legge (art. 1-16) ha preso il n. 3671- bis con il titolo “Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza”, approvato dalla Camera dei deputati in data  1/2/2017 è approdando in Senato in data 3/2/2017 con il numero 2681. In data 11/10/2017 il testo della camera è stato approvato anche dal Senato.

Il Senato in verità ha approvato il testo del disegno di legge n. 2681 nella sua integralità ma lo ha accompagnato con ordini del giorno previsti dalla sua Commissione che –  in luogo degli emendamenti prima proposti e poi ritirati dalle varie forze politiche con lo scopo di propiziare l’ approvazione definitiva di questa legge delega ritenuta di primaria importanza – indichino al Governo i punti rimasti maggiormente problematici, impegnandolo, secondo la disponibilità dallo stesso manifestata, ad emettere norme modificative che recepiscano le soluzioni indicate dalla predetta Commissione, con provvedimento urgente e preferibilmente nel contesto della imminente Legge di Stabilità.

Anche di tali principi si darà conto nell’illustrazione della legge delega che si compone, dunque, di 16 articoli in cui si prospetta la futura emanazione di un unico testo normativo che abroghi la vigente legge fallimentare e le successive in tema di crisi, per disciplinare in modo coerente ed unitario il fenomeno dell’insolvenza così da attuare una riforma organica:

  • delle procedure concorsuali di cui al Regio Decreto 16/3/1942, n. 267 e successive modificazioni;
  • della disciplina sulla composizione della crisi da sovraindebitamento di cui alla legge 27/1/2012, n. 3 e successive modificazioni;
  • nonché per la revisione del sistema dei privilegi e delle garanzie.

A buon diritto si può affermare che con questa legge delega si è data piena attuazione a quei principi già anticipati con la riforma del 2005 così da concepire finalmente le procedure concorsuali non più in termini meramente liquidatori -sanzionatori, ma piuttosto come procedure destinate al risanamento e al trasferimento a terzi dell’impresa, salvaguardando così anche i lavoratori e i creditori. Obiettivo che si è inteso perseguire adottando un sistema normativo più agile. Questo risultato è stato raggiunto privilegiando le procedure di composizione concordata della crisi ad iniziativa del debitore, dei creditori e della autorità giudiziaria e modificando e rendendo più agevoli il concordato preventivo, i piani attestati di risanamento, gli accordi di ristrutturazione dei debiti, gli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari e convenzioni di moratoria e prevedendo, altresì, un nuovo istituto:  le procedure di allerta e composizione assistita della crisi ad iniziativa del debitore di natura non giudiziale e confidenziale tese a realizzare una risoluzione anticipata della crisi. Tutte procedure che si avvalgono di accordi privatistici conclusi tra debitore e creditori per favorire la conservazione e la prosecuzione delle attività di impresa. Con il nuovo sistema si ha anche una diversa concezione del fallimento non più inteso soltanto come cessazione dell’attività di impresa e come sanzione o punizione per il fallito e ci si adegua al mercato che vuole il suo rapido reinserimento nell’attività produttiva, libero anche dall’eventuale  debito che residua dopo il fallimento. E’ stato dimostrato, infatti, che gli imprenditori dichiarati falliti hanno maggiori probabilità di avere successo una seconda volta. In un’economia globalizzata come quella attuale bisogna cercare di contemperare l’interesse dei creditori con l’esclusione dell’impresa dal mercato e la conseguente dispersione del know-how e dei livelli occupazionali. Tutto quanto precede è ben rappresentato dal titolo della legge delega: riforma organica della disciplina della crisi di impresa e dell’insolvenza. Unità di trattamento normativo dell’insolvenza basato sul principio del concorso dei creditori nei confronti del debitore, sia civile che imprenditore commerciale. E in quest’ottica assume anche rilevanza la distinzione tra crisi di impresa ed insolvenza: la prima come rischio di insolvenza, ossia rischio di una futura ma non certa insolvenza da poter superare attraverso accordi con i creditori e la seconda, invece, secondo l’attuale definizione, caratterizzata dall’ illiquidità. In Italia le procedure concorsuali sono vissute dagli imprenditori come un male necessario, un’onta destinata a segnare profondamente l’esperienza imprenditoriale e i rapporti con i clienti, fornitori, Banche; in considerazione di ciò gli imprenditori ritardano il più possibile il ricorso ad una procedura concorsuale e quando questo avviene molto spesso è ormai troppo tardi per riuscire ad attuare un processo di risanamento. Questo modo di vedere finisce ovviamente con il peggiorare la crisi aziendale fino allo stato di insolvenza.

1. PRINCIPI GENERALI DELLA LEGGE DELEGA

La legge delega intende indicare i principi generali comuni al fenomeno dell’insolvenza che possano fungere da punti di riferimento per le varie procedure, sia pure con le dovute differenziazioni rese necessarie dalle diverse forme in cui l’insolvenza può manifestarsi. Dunque i principi enunciati dal ddl stravolgono, innanzitutto, il vecchio fallimento che viene sostituito cambiando non solo il nome ma anche il concetto di procedura sanzionatoria per eccellenza e che diventa una procedura di “liquidazione giudiziale”.

Vi è, poi, la necessità di introduzione di una definizione dello stato di crisi, intesa come “probabilità di futura insolvenza” distinta dalla nozione di insolvenza di cui all’attuale art. 5 R.D. 16/3/1942 n. 267”. L’obiettivo infatti è quello di definire il significato di «crisi di impresa» e di «insolvenza» per consentire che, effettivamente, la crisi sia il presupposto per attivare gli strumenti alternativi al fallimento previsto dalla riforma della legge fallimentare e chiarire che crisi e insolvenza non sono sovrapponibili. Sarà compito del legislatore quindi introdurre una definizione dello stato di crisi e una gamma di strumenti di diagnosi utili a garantire, sul piano effettivo e concreto, la chiarezza concettuale e la centralità dello stato di crisi nella nuova disciplina.

Non cambierà, invece, il nome del curatore, benché non sarà più un curatore fallimentare. Il ruolo sarà simile a quello attuale, più moderno e adeguato alle novità previste dalla delega ma anche con maggiori attitudini e professionalità. La riforma, infatti, prevede di istituire un albo ad hoc che non dovrà essere istituito presso il Ministero della Giustizia ma come richiesto dalla Commissione del Senato ciascun Tribunale dovrà costituire appositi registri dei curatori, commissari giudiziali e liquidatori giudiziali pubblicati periodicamente nel sito internet del tribunale e tali professionisti dovranno essere sottoposti annualmente a valutazione da parte del tribunale, secondo modalità stabilite con decreto del Ministero della giustizia. Il ddl esplicita altresì che dovranno essere previsti i motivi di incompatibilità alla nomina di curatore dei soggetti che hanno svolto altri incarichi assunti nel succedersi delle procedure per evitare possibili conflitti. Inoltre le nomine a curatore debbono essere stabilite a rotazione.

Si prevede, inoltre, che il futuro diritto della crisi dell’impresa e dell’insolvenza sia uniformato attraverso un unico procedimento di accertamento della crisi o dell’insolvenza per tutte le diverse procedure e quindi volto a far emergere le difficoltà dell’impresa e dare avvio a quella procedura più idonea secondo caratteristiche soggettive ed oggettive. Se infatti le soluzioni stragiudiziali non saranno attivate o non concluse positivamente la crisi o l’insolvenza devono trovare sbocco in ambito giudiziario.

Si desume quindi che a seguito di un procedimento unitario dovrà essere l’autorità giudiziaria a classificare la sofferenza dell’impresa o del singolo debitore come crisi ovvero come insolvenza, sulla base delle possibilità di recupero economico.

Questo unico modello processuale sarà ispirato al vigente art. 15 R.D. 16/3/1942 N. 267, sorta di contenitore processuale uniforme di tutte le iniziative di carattere giudiziale al fine di assoggettare al procedimento di accertamento dello stato di crisi o di insolvenza ogni categoria di debitore sia esso persona fisica; ente collettivo; consumatore; professionista; imprenditore esercente un’attività commerciale, industriale, agricola o artigianale (piccola, media, grande) con esclusione dei soli enti pubblici, disciplinandone, distintamente, i diversi esiti possibili con riguardo all’apertura di procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza, concordata o coattiva, conservativa o liquidatoria.

La delega specifica che al c.d. piccolo imprenditore (ovvero all’imprenditore che ha un profilo dimensionale inferiore ai parametri individuati dall’art. 1 della L.F.) deve essere applicata la disciplina dettata per i debitori civili, i professionisti ed i consumatori.

In tale sede confluiranno, pertanto, tutte le domande ed istanze anche contrapposte di creditori, pubblico ministero (che abbia notizia di uno stato di insolvenza)  e debitore (per le imprese, soggetti con funzioni di controllo o vigilanza), in vista dell’adozione o dell’omologazione, da parte dell’organo giurisdizionale competente, della procedura più appropriata alla soluzione della crisi o insolvenza accertate, nel pieno rispetto del principio del contraddittorio, su tutte le istanze avanzate.

In tal modo saranno risolti i problemi di coordinamento tra le molteplici procedure concorsuali attualmente in essere (fase pre fallimentare, concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti, dichiarazione di insolvenza degli imprenditori commerciali soggetti alle varie forme di A.S. e L.C.A, accordi e liquidazioni dell’imprenditore non assoggettabile a fallimento, nonchè del debitore civile, accordi, piani e liquidazioni del consumatore) così che nei casi di sovrapposizione tra le stesse troverà applicazione il principio sancito, da ultimo, dalla Cassazione con sentenza n. 9935 del 10 febbraio 2015 secondo cui è possibile dichiarare il fallimento, in pendenza di una procedura concordataria, a condizione però che la  domanda di concordato sia stata esaminata e risolta in senso negativo (per inammissibilità, revoca dell’ammissione o mancata omologazione). Quanto precede in considerazione del fatto che il sistema riconosce una funzione generale di prevenire il fallimento, attraverso una soluzione alternativa della crisi.

Un tema di maggior rilievo della legge delega approvata dalla Camera che secondo la Commissione del Senato deve essere rivisto e riformulato è quello relativo alla competenza dei tribunali alla trattazione delle procedure concorsuali. In particolare la ipotizzata necessità di:

  1. concentrare le procedure di maggiori dimensioni presso i Tribunali delle imprese (sezioni specializzate in materia di imprese presso i tribunali e le corti d’appello aventi sede nel capoluogo di ogni regione istituiti dall’articolo 2 de D.L. n. 1 del 2012, convertito con modificazioni, dalla Legge n. 27 del 2012, che ha modificato il D.Lgs n. 168 del 2003);
  2. mantenere presso i tribunali oggi esistenti, secondo i normali criteri di competenza, i procedimenti da sovraindebitamento per i consumatori, professionisti e c.d. piccoli imprenditori;
  3. ripartire le rimanenti procedure tra un numero ridotto di tribunali dotati di un numero di magistrati adeguati che comunque dovranno effettivamente specializzarsi in tale materia concorsuale;

non è ritenuta valida dal Senato che, pertanto, impegna il Governo ad adottare nei tempi più ravvicinati e preferibilmente già nel contesto della Legge di Stabilità, un provvedimento normativo che mantenga le vigenti competenze sulle crisi d’impresa, insolvenza e fallimento, in capo a tutti i Tribunali esistenti, adeguando omogeneamente gli organici di magistrati e personale, nonchè prevedendo presso ciascuno l’operatività di apposite sezioni integrate con componenti non togati, aventi specifici requisiti di competenza tecnica, esperienza e indipendenza, scelti tra coloro che sono o sono stati iscritti negli albi degli avvocati, dei dottori commercialisti ed esperti contabili o tra i soggetti che abbiano già svolto funzioni di direzione, controllo ed amministrazione di una società per azioni.

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2. ISTITUTI DELLA LEGGE DELEGA

Il Governo è dunque delegato a sostituire le attuali procedure concorsuali di cui al Regio Decreto 16/3/1942, n. 267 e successive modificazioni con i seguenti istituti, alcuni previsti ex novo e altri modificati dalla riforma:

A) – le procedure di allerta e composizione assistita della crisi ad iniziativa del debitore

di natura non giudiziale e confidenziale tese a realizzare una risoluzione anticipata della crisi;

B) – le procedure di composizione concordata della crisi ad iniziativa del debitore, dei creditori e della autorità giudiziaria intese ad offrire lo strumento per affrontare con la tempestività e le elasticità necessarie le crisi di impresa.

In tale ambito rientrano:

a) i piani attestati di risanamento;

b) accordi di ristrutturazione dei debiti,

c) accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari e convenzioni di moratoria;

d) concordato preventivo

C) -la procedura di liquidazione giudiziale (ex fallimento):

sostituisce il fallimento, del quale conserva naturalmente le caratteristiche essenziali, ma con i miglioramenti nella direzione della maggiore rapidità, elasticità ed efficienza che costituiscono una delle finalità della Riforma.

A) LE PROCEDURE DI ALLERTA E COMPOSIZIONE ASSISTITA DELLA CRISI

L’art. 4 del progetto di legge delega tratta degli istituti di allerta e di prevenzione che sono le novità principali di tutto l’impianto normativo.

Intervenire tempestivamente permette di salvaguardare i valori di un’impresa in difficoltà mentre il ritardo nel percepire i sintomi di una crisi comporta, nella maggior parte dei casi, che quest’ultima, poi, degeneri in una insolvenza vera e propria e irreversibile.

Si mira quindi a far emergere subito la situazione di crisi configurando una serie di incentivi per chi vi ricorra e disincentivi per chi lo fa in ritardo.

Queste procedure devono avere natura non giudiziale e confidenziale, finalizzate ad incentivare l’emersione anticipata della crisi e ad agevolare lo svolgimento di trattative tra debitore e creditori.

Il legislatore dovrà anche individuare le imprese alle quali non si applica tale disciplina che comunque in via preventiva non riguarda le società quotate in mercati regolamentati e le imprese definite grandi dalla normativa UE (si definisce grande l’impresa con 250 o più dipendenti oppure l’impresa con meno di 250 dipendenti ma con un fatturato superiore a 50 mln di euro e un bilancio superiore ai 43 mln di euro).

Organismi di composizione della crisi

Per non lasciare i debitori soli in tale fase di trattative si è pensato di istituire presso ciascuna camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura un apposito organismo di composizione della crisi. Detto organismo dovrà nominare un collegio di tre esperti attinti tra gli iscritti all’albo di cui all’art. 2 lettera o) – soggetti destinati a svolgere su incarico del tribunale funzioni di gestione e controllo nell’ambito delle procedure concorsuali – di cui uno nominato dal presidente della sezione specializzata in materia di impresa del tribunale competente per il luogo in cui l’imprenditore ha sede, uno designato  dalla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura e uno da associazioni di categoria.

Perché tali trattative possano avere un esito positivo è necessario che le stesse avvengano fuori dal Tribunale.

Ma chi è deputato a richiedere l’intervento di tali organismi?

  • l’imprenditore;
  • gli organismi di controllo societari e di revisione nelle società più strutturate che dovranno avvisare, innanzitutto, l’organo amministrativo della società dell’esistenza di fondati motivi di crisi e in caso di omessa o inadeguata risposta di quest’ultimo dovranno informare direttamente il competente organismo di composizione della crisi.

Sarà anche compito di creditori qualificati come l’agenzia delle entrate, gli agenti della riscossione delle imposte e gli enti previdenziali di segnalare all’imprenditore o agli organi di amministrazione e di controllo il perdurare di inadempimenti di importo rilevante affinchè questi chiedano l’intervento dell’organismo di composizione della crisi o in mancanza di loro attivazione, direttamente al competente organismo di composizione della crisi; il tutto a pena di inefficacia dei privilegi accordati ai crediti di cui sono titolari.

Compiti dell’organismo

L’organismo competente a seguito di segnalazione ricevute o su istanza del debitore deve convocare immediatamente, in via riservata e confidenziale il debitore medesimo nonché, ove si tratti di società dotata di organi di controllo i componenti di questi ultimi al fine di individuare nel più breve tempo possibile, previa verifica della situazione economica,  le misure più idonee a porre rimedio allo stato di crisi e per favorire una soluzione concordata tra l’imprenditore e i creditori entro un congruo termine, prorogabile solo a fronte di positivi riscontri delle trattative e comunque non superiore complessivamente a 6 mesi. Non è previsto uno sbocco giudiziale delle procedure in esame quando non diano i risultati sperati ovvero non si pervenga ad un risanamento delle imprese o non si raggiungano accordi con i creditori che scongiurino la crisi. È sembrato ovvio che, in tali casi, saranno instaurate altre procedure per l’accertamento e la gestione delle situazioni di crisi o d’insolvenza. Tali procedure però saranno aperte solo su iniziativa dei soggetti legittimati ad instaurarle. Solamente ove il collegio, fallite le trattative con i creditori, dichiarasse lo stato di insolvenza si dovrà prevedere l’obbligo, per lo stesso, di segnalare al PM il mancato raggiungimento di un accordo con i creditori ai fini del tempestivo accertamento dell’insolvenza medesima. Dovranno anche essere definite le condizioni in base alle quali gli atti della procedura stragiudiziale potranno essere utilizzati nell’eventuale fase giudiziale.

L’intervento del Tribunale in questa fase potrà esserci su richiesta del debitore di misure protettive dall’aggressione dei creditori del proprio patrimonio o comunque dei beni dell’impresa e il Governo dovrà disciplinarne durata, effetti, regime pubblicitario e revocabilità anche d’ufficio, in caso di atti in frode ai creditori e quando vi sarà una prognosi negativa della risoluzione della crisi resa dal collegio di esperti.  

Misure premiali

Dovranno essere previste misure premiali per l’imprenditore che ricorre tempestivamente alla procedura di allerta o che tempestivamente utilizzi altri istituti per la risoluzione concordata della crisi. Sono state escluse misure sanzionatorie per coloro che non tengano tali condotte come in un primo momento stabilito.

B) LE PROCEDURE DI COMPOSIZIONE CONCORDATA DELLA CRISI

Gli artt. 5 e 6 del progetto di legge delega trattano delle procedure di composizione concordata della crisi, ad iniziativa del debitore e tese a consentire l’accordo tra debitore e creditori.

Con l’art. 5 in particolare si cerca di incentivare gli istituti di composizione negoziale della crisi differenti dal concordato preventivo e cioè:

a) i piani attestati di risanamento previsti dall’art. 67, terzo comma, lett. d) della L.F. ;

b) accordi di ristrutturazione dei debiti previsti dall’art. 182 bis L.F.;

c) accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari e convenzioni di moratoria, previste dall’art. 182 septies L.F.

L’art. 6 riguarda la procedura di concordato preventivo.

I piani attestati di risanamento

Del piano di risanamento tratta oggi l’art. 67, terzo comma, lett. d, della legge fallimentare introdotto dal decreto legge n. 35 del 14 marzo 2005 cosiddetto decreto competitività (“ Non sono soggetti all’azione revocatoria:(omissis) d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall’art. 28, lettere a) e b) deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; il professionista è indipendente quando non è legato all’impresa e a coloro che hanno interesse all’operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio; in ogni caso, il professionista deve essere in possesso dei requisiti previsti dall’art. 2399 del codice civile e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo; il piano può essere pubblicato nel registro delle imprese su richiesta del debitore) convertito dalla legge n. 80/2005. L’attuale formulazione dell’istituto è frutto della modifica apportata con la legge 83/2012 di conversione del Decreto Sviluppo.

La legge detta, per questo istituto, un frammento di disciplina senza definirne, se non per sommi capi, la fattispecie e il contenuto.

In sintesi è possibile per un’impresa in crisi/insolvente predisporre un piano che sia, o almeno appaia, idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria facilitando i creditori nel recupero del proprio credito. E’ questo il motivo per cui gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse sui beni del debitore in esecuzione del piano non sono soggette a revocatoria fallimentare (oltre all’esenzione di alcuni reati di bancarotta) salvaguardando così i soggetti coinvolti nell’operazione di risanamento dagli effetti del possibile fallimento del debitore con il quale si sono intrattenuti rapporti, purchè il piano sia attestato, quanto a veridicità dei dati aziendali e a fattibilità dello stesso, da un professionista, designato dal debitore, con il requisito dell’indipendenza.

Peraltro il piano suddetto, pur non sottoposto ad omologa, non può sottrarsi alla valutazione di congruità e fattibilità del giudice penale allorchè tenda a distogliere il patrimonio dalla sua finalità tipica e cioè la garanzia per i creditori. In particolare nel piano dovranno essere indicate:

  • le cause della crisi;
  • le sue caratteristiche generali e cioè le ipotesi poste a base, nonché le metodologie utilizzate per la sua predisposizione;
  • le misure operative finalizzate al risanamento e al raggiungimento dell’ equilibrio finanziario;
  • la durata del processo di risanamento;
  • ecc.

La legge delega prevede che il piano attestato abbia forma scritta, data certa e contenuti analitici.

b) Accordi di ristrutturazione dei debiti

L’accordo di ristrutturazione dei debiti è un vero e proprio accordo contrattuale che il debitore, una volta raggiunto il consenso contrattuale e raccolta l’accettazione sotto forma di adesione con le controparti creditrici, stipula, appunto, con i creditori.

L’imprenditore in stato di crisi può richiedere, depositando la documentazione prevista per il concordato preventivo (art. 161), l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un professionista, designato dal debitore, indipendente secondo quanto stabilito dall’articolo 67, terzo comma, lettera d) LF, sulla veridicità dei dati aziendali e sull’ attuabilità dell’accordo stesso. In particolare, la relazione dovrà attestare l’idoneità dell’accordo ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori dissenzienti nel rispetto di termini precisi, indicati dall’art. 182 bis L.F. lettere:

a) entro 120 giorni dall’omologazione, in caso di crediti già scaduti a quella data;

b) entro 120 giorni dalla scadenza, in caso di crediti non ancora scaduti alla data dell’omologazione.

L’accordo è pubblicato nel registro delle imprese e acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione così che da tale data e per sessanta giorni i creditori per titolo e causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore, nè acquisire titoli di prelazione se non concordati.

Tra le ultime novità vi è la possibilità da parte del debitore di ottenere dagli istituti di credito “nuova finanza in prededuzione”(a determinate condizioni) ex art. 111, per il pagamento dei debiti da ristrutturare (art. 182 quater e quinquies).In sostanza questo significa che in caso di fallimento del debitore che ha presentato il piano di ristrutturazione dei debiti, il finanziatore che ha elargito la “nuova” liquidità a sostegno del piano finanziario, sarà rimborsato anticipatamente rispetto a tutti gli altri creditori facenti parte della massa fallimentare, sia creditori chirografari che privilegiati. Questo mette, dunque, il credito dei finanziatori sullo stesso piano dei crediti che spettano ai professionisti che si occupano di gestire la procedura e permette ai finanziatori di avere maggiori garanzie sul recupero del proprio credito. Se non è raggiunta la soglia del 60% dei crediti l’accordo non può essere omologato e quindi non opera in questo istituto il principio maggioritario di cui al c.p.

La legge delega allo scopo di rendere gli A.D.R. più duttili e meglio fruibili prevede di eliminare o ridurre la soglia del 60% prevista per l’omologazione ove il debitore:

  1. non proponga la moratoria del pagamento dei creditori estranei di cui al primo comma (entro centoventi giorni dall’omologazione, in caso di crediti già scaduti a quella data e entro centoventi giorni dalla scadenza, in caso di crediti non ancora scaduti alla data dell’omologazione). In sostanza deve essere attestato che il piano sia idoneo ad effettuare il pagamento dei creditori dissenzienti integralmente e tempestivamente.

2) né richieda le misure protettive previste nel sesto comma (comma 6. Il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive di cui al terzo comma puo’ essere richiesto dall’imprenditore anche nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell’accordo di cui al presente articolo, depositando presso il tribunale competente ai sensi dell’articolo 9 la documentazione di cui all’articolo 161, primo e secondo comma, lettere a), b), c) e d) e una proposta di accordo corredata da una dichiarazione dell’imprenditore, avente valore di autocertificazione, attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti e da una dichiarazione del professionista avente i requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), circa la idoneita’ della proposta, se accettata, ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilita’ a trattare. L’istanza di sospensione di cui al presente comma e’ pubblicata nel registro delle imprese e produce l’effetto del divieto di inizio o prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari, nonche’ del divieto di acquisire titoli di prelazione, se non concordati, dalla pubblicazione)

Accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari e convenzioni di moratoria

a) –  accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari

Il D.L. N. 83/2015 ha introdotto con il nuovo art. 182 septies l.f., una forma speciale di accordo di ristrutturazione, caratterizzata dall’esposizione debitoria con il ceto bancario nel senso cioè che oltre la metà dell’indebitamento complessivo è nei confronti di banche ed intermediari finanziari. Il debitore può creare delle classi e per quelle formate dai creditori bancari e intermediari finanziari può chiedere l’estensione degli effetti dell’accordo anche ai creditori non aderenti, alla duplice condizione:

A) del raggiungimento dell’accordo con i creditori che rappresentino almeno il 75% della categoria;

B) del rispetto del principio di buona fede (che impone la preventiva informazione di tutti i creditori e la possibilità di partecipare alle trattative).

b) – convenzioni di moratoria

Le convenzioni di moratoria sono quelle che disciplinano una dilazione della sua esigibilità

Il legislatore con l’art 182 septies l.f., stabilisce le condizioni in base alle quali la convenzione di moratoria può estendersi a tutti i creditori bancari e finanziari, accomunati da posizioni giuridiche ed interessi economici omogenei, alla luce dell’attestazione di un professionista in possesso dei requisiti indicati dall’art. 67, III comma, lett. d) l.f. ,che sono:

  • rispetto del principio di buona fede e di corretta informazione;
  • adesione dei creditori che rappresentino il 75% dei crediti.

L’unico effetto che può essere prodotto dall’accordo di moratoria nei confronti dei creditori non aderenti riguarda, tuttavia, il solo differimento dell’esigibilità del credito.

La legge delega prevede che gli effetti di tali accordi possano estendersi anche ai creditori non aderenti appartenenti a categorie omogenee (anche diversi da banche o intermediari finanziari) se l’accordo venga raggiunto con creditori che rappresentino una rilevante percentuale (almeno il 75%) del totale dei crediti, fermo restando ovviamente il loro diritto ad impugnare l’omologazione.

c) Concordato preventivo

Diversamente da quanto previsto dalla proposta Rodororf il CDM aveva pensato di escludere del tutto il concordato preventivo liquidatorio considerato che circa il 90% dei concordati proposti hanno natura meramente liquidatoria (che, come tali comportano il dissolvimento dell’impresa) e la percentuale pagata, in media, ai chirografari non supera il 10%. Il CP è uno strumento molto complesso con una bassa percentuale di procedimenti che si concludono con quanto proposto dal debitore ai suoi creditori; gli altri si fermano prima sia perchè il tribunale non ammette il debitore al CP, sia perchè viene revocato per atti di frode, sia perchè non è approvato dai creditori, sia perchè il tribunale non lo omologa. Il CP nella maggior parte dei casi non raggiunge lo scopo di soddisfare i creditori. Per quanto concerne i costi poi emerge che il CP comporta esborsi superiori al 30% dell’attivo. Si riteneva quindi di circoscrivere l’istituto del concordato preventivo alla sola ipotesi del c.d. concordato in continuità così che quando l’impresa è in una situazione di crisi o anche di vera e propria insolvenza – ma reversibile –  si preveda di superare, con la proposta, tale situazione in forza di un piano che permetta, per quanto possibile, il soddisfacimento dei creditori.

Il concordato con continuità aziendale (oggi previsto dall’art. 186 bis L.F.) è possibile quando ricorra una delle seguenti tre ipotesi:

1) prosecuzione dell’attività d’impresa da parte del debitore medesimo;

2) cessione dell’azienda in esercizio,

3) conferimento dell’azienda in una o più società, anche di nuova costituzione.

La delega approvata dal Parlamento, invece, dopo ampio dibattito, ha ammesso anche il concordato preventivo liquidatorio ma solo nel caso in cui ci sia un consistente apporto esterno che può garantire ai creditori un maggior soddisfacimento. In sostanza, l’imprenditore, per evitare la liquidazione giudiziale (fallimento) deve, con un sacrificio personale, “aggiungere dei soldi propri” che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori e assicurino, in ogni caso, il pagamento di almeno il 20 per cento dell’ammontare complessivo dei creditori chirografari (quest’ultima percentuale era stata già prevista nel 2015.)

Nel testo del disegno di legge non compare la lettera b) dell’originaria proposta nell’elencazione dei principi e criteri direttivi che legittimava  i terzi a proporre domanda di concordato preventivo.

Attualmente le offerte concorrenti che il terzo può presentare all’interno di un procedimento concordatario che solo il debitore è legittimato ad attivare, sono state introdotte con l’art. 163 bis della L.F. per disinnescare i rischi, le inefficienze o gli abusi che possono derivare dal cosiddetto concordato con ”pacchetto preconfezionato”. Parecchi infatti sono stati i “concordati chiusi” cioè concordati che si fondano su un’offerta o un accordo preliminare con un soggetto già individuato dal debitore in forza del quale si attua a favore di quest’ultimo il trasferimento dell’azienda, di rami d’azienda o di singoli beni. Questo tipo di concordati preventivi se alcune volte sono stati positivi altre volte hanno generato abusi ai danni dei creditori che si sono trovati senza alternative all’approvazione del cosiddetto pacchetto preconfezionato che non fossero l’estinzione dell’azienda o il fallimento dell’imprenditore.   

Il Governo dovrà individuare  i casi nei quali sarà obbligatorio dividere i creditori in classi, in base alla posizione giuridica e all’omogeneità degli interessi economici, prevedendo in ogni caso che tale obbligo sussiste in presenza di creditori assistiti da garanzie esterne..

altri principi cui il legislatore dovrà attenersi in tema di CP sono:

1) – rivedere la disciplina delle misure protettive concernenti i beni del debitore o afferenti all’impresa con particolare riguardo alla durata e ai relativi effetti prevedendone anche la revocabilità, su ricorso degli interessati ove non arrechino alcun beneficio al buon esito della procedura;

2) – rivedere le modalità di accertamento della veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano concordatario e la determinazione dell’entità massima dei  compensi spettanti ai professionisti incaricati dal debitore, da commisurarsi proporzionalmente all’attivo dell’impresa soggetta alla procedura.

Quanto precede considerato che:

  • tali attestazioni sono quasi sempre revisionate dal Commissario Giudiziale nella sua relazione ex art. 172 a beneficio dei creditori;
  • negli ultimi tempi vi è stato un incremento notevole delle spese per compensi dei professionisti in prededuzione che hanno compromesso anche le legittime aspettative di recupero dei creditori.

3) – rivedere l’attuale sistema di accertamento della veridicità dei dati aziendali e di attestazione di fattibilità del piano concordatario. In particolare il legislatore in linea con le indicazioni fornite dalla giurisprudenza di legittimità, dovrà indicare e chiarire il contenuto dei poteri del tribunale con particolare riguardo alla valutazione di fattibilità del piano, tenuto conto della specifica utilità indicata nella proposta e attribuire, in ogni caso, al Giudice il potere di verificare,  sin dalla fase di ammissione alla procedura, la realizzabilità economica dello stesso.

Qualcuno potrebbe vedere in questo restituito controllo giudiziale circa la fattibilità anche economica del concordato preventivo una qualche nostalgia del passato ma in realtà è elemento necessario per porre un freno agli scompensi che si sono avuti negli ultimi anni (piani velleitari, eccessività dei costi, inefficienza delle scelte di soluzione delle crisi ecc). Oggi, infatti, moltissimi concordati preventivi seppur “giuridicamente” fattibili e come tali omologati, sono economicamente ineseguibili e quindi di fatto congelati.

Attualmente, come noto, i poteri del Giudice concorsuale sono stati delimitati dalla Cassazione con la sentenza 23 gennaio 2013, Sez. Un., n. 1521 la cui massima statuisce: Il giudice ha il dovere di esercitare il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato, non restando questo escluso dalla attestazione del professionista, mentre resta riservata ai creditori la valutazione in ordine al merito del detto giudizio, che ha ad oggetto la probabilità di successo economico del piano ed i rischi inerenti. Il controllo di legittimità del giudice si realizza facendo applicazione di un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione in cui si articola la procedura di concordato preventivo. Il controllo di legittimità si attua verificando l’effettiva realizzabilità della causa concreta della procedura di concordato; quest’ultima, da intendere come obiettivo specifico perseguito dal procedimento, non ha contenuto fisso e predeterminabile essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento, finalizzato al superamento della situazione di crisi dell’imprenditore, da un lato, e all’assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori, da un altro.”

4) – la regolazione del diritto di voto dei creditori con diritto di prelazione il cui pagamento sia dilazionato.

Nella attuale normativa infatti i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca non hanno diritto di voto (art. 186 bis, comma 2 lettera c) per il concordato in continuità). In merito vi sono plurimi orientamenti interpretativi tra i quali si segnala quello della Cassazione 9 maggio 2014, n. 10112 secondo cui: (i) in favore dei creditori privilegiati dilazionati deve essere previsto un “compenso” per la dilazione e che (iii) sulla congruità e convenienza di tale compenso i creditori privilegiati devono essere legittimati al voto”;

5) – riordinare la disciplina della revoca, dell’annullamento e cosa più importante, prevedere la legittimazione del Commissario Giudiziale a chiedere la risoluzione del concordato in ipotesi di sopravvenuta impossibilità di esecuzione del piano su istanza del un creditore. Non è prevista anche la conversione d’ufficio in una procedura liquidatoria (corrispondente all’attuale fallimento) anzi, l’art 2 della legge delega prevede l’eliminazione dell’unica ipotesi oggi esistente di fallibilità d’Ufficio prevista dall’art. 3, primo comma, del D.Lgs. 8/7/1999, n. 270 (Nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza).

6) – rivedere l’effetto esdebitatorio del cp ed i suoi effetti nei riguardi dei terzi garanti e dei soci illimitatamente responsabili;

7) – prevedere la soppressione dell’adunanza dei creditori (da sostituire con attività da svolgere in modo telematico), adottare un sistema di calcolo delle maggioranze anche “per teste”, nell’ipotesi in cui un solo creditore sia titolare di crediti pari o superiori alla maggioranza di quelli ammessi al voto, con apposita disciplina delle situazioni di conflitto di interessi e rivedere la disciplina dei provvedimenti che riguardano i rapporti pendenti che, attualmente (art. 169 bis), sono caratterizzati dalla prosecuzione degli stessi con la facoltà del debitore di chiedere:

  • al Tribunale, nella domanda concordataria,
  • al G.D. dopo il decreto di ammissione,

lo scioglimento dai contratti in corso di esecuzione o la sospensione (per non più di 60 gg prorogabili una sola volta), fatto salvo il diritto del contraente in bonis di ottenere un indennizzo conseguente all’inadempimento, da riconoscere in moneta concorsuale.

Disposizioni che riguardano debitori avente veste societaria nel c.p.

la legge delega detta, inoltre, alcune disposizioni particolari con riferimento ai concordati preventivi che riguardano i debitori avente veste societaria per i quali si ritiene di introdurre una apposita disciplina diretta a:

  • stabilire i presupposti per l’esdebitazione dei soci illimitatamente responsabili anche se garanti della società, con eventuale distinzione tra garanzie personali e reali (si veda il caso del socio di una snc ammessa al cp che allorchè la società era in bonis, ha concesso in favore di una banca una ipoteca volontaria, quale terzo datore di ipoteca);
  • esplicitare presupposti, legittimazione ed effetti dell’azione sociale di responsabilità;
  • scoraggiare comportamenti ostruzionistici e dilatori degli organi sociali sino a prevedere l’affidamento provvisorio e temporaneo dell’impresa ad un commissario, nominato dal Tribunale, per dare attuazione al piano;
  • regolamentare i casi in cui il concordato preventivo preveda operazioni di trasformazione, fusione o scissione con norme apposite considerato che quelle previste dal codice civile (per esempio in tema di opposizione dei creditori alla fusione ed alla scissione di società) non risultano oramai coerenti con le esigenze di una società in cp.

Disposizioni che disciplinano i gruppi di imprese nel c.p.

In tale ultima ottica e cioè di dettare norme particolari per le imprese costituite in forma societaria si inseriscono anche le disposizioni che disciplinano la crisi e l’insolvenza dei gruppi di imprese (art. 3 Legge Delega) in particolare nelle procedure concordatarie che devono, secondo la legge delega, prediligere la continuità aziendale.

In questi casi, quindi, diversamente da quanto accade adesso che si considera separatamente ogni procedura riguardante ciascuna singola impresa, è necessaria una gestione unitaria della procedura di cp che si esplica con:

  • la nomina di un unico Giudice Delegato e di un unico Commissario Giudiziale;
  • la contemporanea e separata votazione dei creditori di ciascuna impresa;
  • l’esclusione dal voto dei soggetti appartenenti al gruppo che siano titolari di crediti nei confronti della altre imprese assoggettate alla procedura;
  • gli effetti dell’eventuale annullamento o risoluzione della proposta unitaria omologata;
  • i criteri per la formulazione del piano unitario di risoluzione della crisi del gruppo.
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C) LA PROCEDURA DI LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE (EX FALLIMENTO)

L’art 7 della legge delega tratta della procedura di liquidazione giudiziale che dovrebbe prendere il posto dell’attuale procedura di fallimento con una modifica di termini che intende evitare – come precisato nella relazione di accompagnamento – “l’aura di negatività e discredito anche personale che storicamente quella parola accompagna” e porre il nostro ordinamento in linea con quelli di altri paesi europei.

In tale ottica quindi si dovrà sostituire il termine fallimento e i suoi derivati con espressioni equivalente, quali insolvenza o liquidazione giudiziale appunto adeguando dal punto lessicale anche le relative disposizioni penali.

Il Senato ha chiesto al Governo di valutare in sede di attuazione del provvedimento la necessità che la riforma sia integrata con l’introduzione della definizione del cosiddetto fallimento onesto in coerenza con le indicazioni della Commissione europea, ferme restando le necessarie garanzie a tutela dei creditori. Quanto precede per distinguere lo stato di insolvenza causato da effettivi e comprovati comportamenti illeciti e quello che sia stato effetto della congiuntura economica.

Il governo nell’esercizio delle delega deve, valutare e adottare misure dirette a rendere più efficace la funzione del curatore ed in particolare:

  • integrare la disciplina sulle incompatibilità tra gli incarichi assunti nel succedersi delle procedure così che non accada più come ora che il Commissario o il Liquidatore Giudiziale in caso di successivo fallimento venga nominato curatore;
  • definire i poteri e le modalità di accesso alle pubbliche amministrazioni e banche dati;
  • specificare il contenuto minimo del programma di liquidazione e altre indicazioni volte a rafforzare i poteri del curatore assicurandone però una più elevata professionalità;

Inoltre per semplificare le procedure meno complesse le funzioni del comitato dei creditori possono essere sostituite e assolte con consultazioni telematiche con i creditori anche nella forma del silenzio assenso.

Al fine di potenziare la liquidazione giudiziale si prevede di:

Il legislatore inoltre è chiamato a definire i poteri del curatore per quanto attiene all’esercizio delle azioni di responsabilità nei confronti delle società di capitali e di persone.

Anche la disciplina dei rapporti giuridici va integrata senza essere rivoluzionata  mantenendo l’idea di base secondo cui la funzione liquidatoria della procedura deve realizzarsi non soltanto attraverso la conversione in denaro dei diritti e dei beni del debitore ma anche mediante la definizione dei rapporti giuridici patrimoniali derivanti dai contratti dallo stesso stipulati e pendenti all’avvio della procedura. In tale ottica gli effetti della procedura sui rapporti di lavoro devono essere coordinati con la vigente legislazione lavoristica in tema di licenziamento, forme assicurative, di integrazione salariale e trattamento di fine rapporto.

Vi sono poi tre commi (8-9-10) che dettano principi volti, rispettivamente, alla disciplina dell’accertamento del passivo, alla trasparenza e efficenza nelle operazioni di liquidazione e alla chiusura accelerata della liquidazione.

Verifica del passivo

Inoltro telematico tempestivo delle domande di ammissione con previsione delle tardive nel solo caso in cui il creditore dimostri che il ritardo e dipeso da cause a lui non imputabili. La possibilità di costituire il comitato dei creditori anche in via telematica è stata anticipata con il D.L. n 59 del 3 maggio 2016 convertito in legge n. 119 in vigore dal 3 luglio 2016.

Modalità di verifica dei diritti vantati su beni del debitore che sia costituito terzo datore di ipoteca

Questo tema è stato, come noto, più volte affrontato in dottrina ed in giurisprudenza. Al riguardo la Suprema corte ha sempre ribadito il proprio orientamento secondo il quale l’ipoteca iscritta su beni compresi nel fallimento, ma a garanzia di debiti altrui, non attribuisce titolo al beneficiario della garanzia ipotecaria per partecipare al concorso dei creditori, non determinando di per sé il sorgere di alcun credito verso il fallito.

Pertanto l’atto di costituzione di ipoteca può costituire oggetto di cognizione soltanto nell’ambito delle operazioni di liquidazione e ripartizione dell’attivo, e il creditore iscritto può far valere la prelazione che gli spetta solo una volta raggiunto dalla notizia della vendita del bene gravato da ipoteca, dopo essere rimasto estraneo al procedimento di formazione del passivo. Tale orientamento giurisprudenziale sorto sotto la vigenza della pregressa formulazione della legge fallimentare sarebbe stato, secondo alcuni, superato dal vigente disposto dell’art. 92 primo comma e 52 secondo comma L.F che ha ampliato il principio del concorso formale con estensione dell’accertamento a “ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare” tra cui sarebbero compresi i creditori muniti di ipoteca iscritta sui beni del fallito a garanzia del debito di un terzo.

Seguendo quest’ultimo orientamento, alcuni tribunali di merito hanno affermato che in caso di fallimento del terzo datore d’ipoteca si applica il principio per cui il titolare dell’ipoteca non può qualificarsi come creditore del fallito, ma può avvalersi del procedimento di ammissione al passivo al fine di far valere il suo diritto di collocazione preferenziale sul ricavato della liquidazione fallimentare (v. ad es. Trib. Milano 25 febbraio 2008).

Da ultimo, però, la Suprema Corte (Cass., Sez. I, 9 febbraio 2016, n. 254) ha ribadito che anche nella nuova disciplina del fallimento – come modificata dalla riforma del 2005, in tema di garanzie costituite dal terzo, in caso di fallimento dopo la costituzione della garanzia a favore del creditore non proprio – i creditori titolari di un diritto di ipoteca sui beni compresi nel fallimento, costituiti in garanzia di crediti vantati verso debitori diversi dal fallito, sono esclusi dalla possibilità di avvalersi del procedimento di verificazione dello stato passivo.

Ne consegue che, al fine di realizzare i propri diritti, essi dovranno ricorrere in sede esecutiva secondo le modalità di cui agli artt. 602 e 604 c.p.c., dettate in tema di espropriazione contro il terzo proprietario.

Liquidazione dell’attivo e sistema common

in questo ambito si vorrebbero introdurre le maggiori novità prevedendo l’adozione di un sistema di vendita dei beni frutto di una rivisitazione complessiva della relazione oggi esistente tra le procedure fallimentari ed il mercato, tale da consentire, anche  tramite l’adozione di moderne tecnologie telematiche , migliori prospettive di soddisfazione delle ragioni dei creditori. Si tratta del sistema “Commom”, (acronimo anglosassone che sta per Complementary money) e prefigura di fatto una borsa dei fallimenti che si basa su tre elementi complementari:

a) la creazione di un mercato telematico unificato a livello nazionale, per tutti i beni posti in vendita dalle procedure concorsuali, dotato di massima visibilità e che funge da piattaforma di formazione dei prezzi attraverso meccanismi d’asta differenziati, ampliando così la platea dei potenziali acquirenti;

b) la possibilità di acquisto dei beni sul mercato telematico non solo con denaro corrente ma anche con appositi titoli che incorporano un diritto speciale attribuito ai creditori delle procedure di cui sia certificata la concreta possibilità di soddisfazione, da parte di un organismo terzo a valore minimo prudenziale, a fronte di una garanzia formata dagli attivi più facilmente vendibili e di valore durevole;

c) la creazione di un fondo nel quale siano conferiti i beni rimasti invenduti, in attesa della loro valorizzazione.

In sostanza chi vanta un credito nei confronti di una ditta in liquidazione giudiziale ha la facoltà di convertirlo in una specie di “voucher” che può essere utilizzato per acquistare, su un mercato telematico nazionale, dei beni posti in vendita da tutte le procedure concorsuali ed esecutive. Con questo sistema, ad esempio, un creditore potrebbe acquistare direttamente, su questa specie di “borsa on line”, un macchinario utile per la sua azienda, da una liquidazione giudiziale che lo ha messo in vendita, pagandolo con il proprio credito vantato nei confronti di un’altra azienda in liquidazione giudiziale. E’ previsto che l’individuazione di un ente certificatore che garantisca la concreta possibilità di soddisfazione dei crediti insinuati al passivo di ciascuna procedura aderente al sistema, avverrà nell’ambito di enti ed organismi pubblici del settore finanziario già esistenti e dotati di adeguate professionalità. La prevista attività di certificazione potrà essere svolta nell’ambito delle ordinarie competenze istituzionali.

Al fine di rendere tale schema più semplice ed utilizzabile si potrebbe e/o dovrebbe utilizzare, ad avviso di chi scrive, un sistema di misura di scambio di debiti e crediti interno ad un circuito di aziende. A tal fine si potrebbe utilizzare il sistema di valuta complementare Sardex nata a Cagliari che non è una moneta virtuale (tipo bitcoin).

Di cosa si tratta e come funziona? La struttura del sistema Sardex, come si evince dal suo sito internet è la seguente:

Ad ogni impresa viene aperto un conto presso la camera di compensazione del Circuito. Il conto è denominato in una valuta interna: il Credito Commerciale Sardex, spendibile esclusivamente all’interno della rete. Ogni conto ha saldo iniziale pari a zero. Ad ogni azienda è accordata la possibilità di “andare in rosso”, entro determinati limiti, e attraverso questo “scoperto” può effettuare acquisti presso altri iscritti alla rete. Ad ogni acquisto il conto dell’acquirente viene addebitato per un ammontare pari al prezzo di vendita del bene/servizio acquistato. Viceversa il conto del fornitore sarà accreditato per un pari importo. Le aziende che evidenziano un saldo negativo potranno portare a pareggio il proprio saldo semplicemente effettuando vendite presso altre aziende aderenti al Circuito. Allo stesso modo, le aziende con saldo attivo, potranno monetizzare i Crediti Sardex accumulati facendo acquisti presso le altre imprese iscritte. Il Credito Commerciale Sardex è un’unità di conto digitale, equivalente all’euro come misura del valore (1 SRD = 1 EUR), utile a misurare crediti e debiti tra iscritti all’interno del Circuito Sardex.net. All’interno del Circuito, tutti i soggetti partecipanti sono sia fornitori che acquirenti e di conseguenza, a seconda delle operazioni, debitori o creditori. I Crediti Sardex sono emessi dalle stesse imprese all’atto dell’incontro tra domanda e offerta. Nel momento in cui un’azienda acquista “andando in rosso” sul proprio conto, i Crediti Sardex vengono trasferiti sul conto del venditore in pagamento della fornitura: è allora che avviene l’emissione. A questo punto da una parte il venditore potrà vantare un “credito” nei confronti dell’intero Circuito, dall’altra l’acquirente avrà un debito che potrà saldare vendendo i propri beni/servizi ad altri iscritti. Quindi il “credito” non viene erogato da un’autorità centrale, ma sono le stesse imprese a farsi credito tra loro in quanto tutte le posizioni di debito e credito sono riferite al Circuito nel suo complesso, ovvero all’insieme di tutte le imprese iscritte. Un gruppo di imprese che condividono strumenti e valori comuni, che compartecipano al rischio e si sostengono l’una con l’altra”.

Per tornare, quindi, all’esempio di prima, il creditore di una procedura concorsuale ammesso al sistema Sardex vedrà convertito il suo credito in una quantità di crediti Sardex, da spendere all’interno del circuito, per comprare il macchinario utile alla sua azienda da una liquidazione giudiziale che lo ha messo in vendita. Ogni transazione avverrebbe elettronicamente su computer o app. Si tratterebbe ovviamente di un modello che Sardex non gestirebbe ma potrebbe offrire chiavi in mano.

Chiusura della liquidazione

per favorire una chiusura accelerata della procedura è previsto:

a) di affidare la fase del riparto al solo curatore, riservando l’intervento del G.D. solo per dirimere eventuali opposizioni. In questo modo si potrebbero eliminare gli attuali passaggi dal G.D. che, come noto, per un riparto parziale comportano, dalla presentazione del prospetto delle somme disponibili al pagamento effettivo, almeno 30-40 giorni e per un riparto finale 80-90 giorni.

b) integrare l’attuale disciplina della chiusura della procedura pur in pendenza  di procedimenti giudiziari specificando che essa concerne tutti i processi in cui è parte il curatore e definendone i presupposti, condizioni ed effetti in rapporto alla loro diversa tipologia ed alla eventuale natura societaria del debitore. L’art 118 n. 3 L.F. attuale non disciplina cosa accade in caso di chiusura del fallimento in pendenza di giudizi attivi che potrebbero avere un esito positivo. La giurisprudenza di merito (cfr. Tribunale di Bergamo 14/1/2016) ha statuito che in tal caso non deve essere estinto il conto intestato alla procedura e non si deve procedere alla cancellazione dal registro delle imprese. Inoltre l’eventuale futuro attivo deve essere ripartito con le modalità stabilite dagli artt. 110 e seguenti legge fallimentare così come l’eventuale ulteriore compenso del curatore.    

c) introdurre una previsione normativa che preveda, nei casi di chiusura della procedura relativa alle società di capitali ai sensi del vigente art. 118 L.F. n. 1  (se nel termine stabilito nella sentenza dichiarativa di fallimento non sono state proposte domande di ammissione al passivo) e  2 ( quando, anche prima che sia compiuta la ripartizione finale dell’attivo, le ripartizioni ai creditori raggiungono l’intero ammontare dei crediti ammessi, o questi sono in altro modo estinti e sono pagati tutti i debiti e le spese da soddisfare in prededuzione) che sia lo stesso curatore a convocare l’assemblea e che questa sia posta in condizione di deliberare se revocare la liquidazione della società, eventualmente ricapitalizzandola, oppure cessare definitivamente l’attività sociale con conseguente cancellazione dal registro delle imprese.

d) anche la nuova procedura di liquidazione giudiziale può concludersi con un concordato liquidatorio giudiziale come avviene oggi con il concordato fallimentare ma in tal caso la proposta deve essere supportata da un apporto di ulteriori risorse tali da renderlo più vantaggioso per i creditori rispetto all’ordinaria liquidazione. Legittimati alla proposizione sono i creditori, i terzi interessati e lo stesso debitore.

Liquidazione giudiziale e gruppi di imprese

sono stati indicati dei principi per il legislatore quali:

  • nomina di un unico G.D. e di un unico curatore, con distinti comitati dei creditori per ciascuna impresa;
  • criterio di ripartizione proporzionale dei costi della procedura fra le singole imprese del gruppo;
  • attribuzione al curatore del potere di 1) azionare rimedi contro operazioni che antecedentemente l’accertamento dello stato di insolvenza hanno comportato lo spostamento di risorse da una impresa all’altra del gruppo 2) esercitare azioni di responsabilità ex art. 2497 cc. 3) segnalare agli organi di amministrazione e controllo di società del gruppo non ancora assoggettate a procedura l’esistenza di uno stato di insolvenza ovvero promuoverne direttamente l’accertamento;
  • disciplina di eventuali proposte di concordato liquidatorio giudiziale.

3) L’ ESDEBITAZIONE ART. 8 (art. 142 L.F.)

E’ stato dimostrato che gli imprenditori dichiarati falliti hanno maggiori probabilità di avere successo una seconda volta e quindi, al fine di dargli la possibilità di rientrare nel mercato con la ricchezza e le esperienze acquisite, vi è la necessità di adoperarsi affinchè siano ridotti gli effetti negativi del fallimento sugli imprenditori prevedendo la completa liberazione del debito dopo un lasso di tempo massimo.

In considerazione di quanto precede la legge delega prevede:

imprenditore:

  • insolvenze di minor portata: possibile esdebitazione di diritto al termine della procedura di liquidazione giudiziale, senza cioè la pronuncia di un Giudice e salva la possibilità di opposizione dei creditori;
  • insolvenze maggiori: l’interessato deve presentare una domanda che il Giudice deve valutare e provvedere positivamente su di essa.

– Società di capitali o di persone:

  • non esclusione dall’esdebitazione dovendosi, in tal caso, valutare l’esistenza dei requisiti di meritevolezza in capo ai soli, rispettivamente, amministratori e soci.

– Esclusione dell’esdebitazione nei casi di dolo o mala fede del debitore o quando non abbia collaborato con gli organi della procedura.

Considerato infine che le procedure di liquidazione giudiziale potrebbero avere non breve durata si è prevista la possibilità di chiedere l’esdebitazione non solo dopo la chiusura della procedura ma anche dopo tre anni dalla sua apertura.

4) LA PROCEDURA DI SOVRAINDEBITAMENTO

Quando la crisi economica del soggetto assume dimensioni più significative, il nostro ordinamento ha previsto una procedura di ristrutturazione delle posizioni debitorie, attivabile da parte di coloro che non sono assoggettabili alle procedure concorsuali ordinarie (fallimento e concordato). Con l’articolo 6, legge n. 3/2012 l’Italia si è uniformata agli altri ordinamenti europei, introducendo uno strumento per l’esdebitazione dei cosiddetti «insolventi civili», ovvero consumatori e piccole imprese. Protagonista di tali procedure è il «sovraindebitato», cioè la persona fisica che abbia assunto obbligazioni per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale svolta, non fallibile, ovvero estraneo all’ambito di applicazione del fallimento e del concordato preventivo. Presupposto oggettivo per il ricorso a tali procedure è lo stato di sovraindebitamento, che il legislatore definisce come una «situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente».

Anche la procedura di sovraindebitamento sarà rivista per due ordini di motivi:

  • necessaria armonizzazione con le nuove norme sulla disciplina e regolamentazione dell’insolvenza e della crisi di impresa che si intendono adottare;
  • intervenire sul corpo normativo attuale di una procedura che non ha avuto molto successo – quasi totalmente disapplicata in Italia rispetto agli altri paesi europei ed extraeuropei – anche perchè considerata complicata,  farraginosa e con costi superflui.

Quindi, per ovviare a tutto questo il legislatore dovrà rivedere l’istituto per semplificarlo, renderlo più agile, rapido e il più economico possibile.

Si intende attribuire maggior peso all’effetto esdebitatorio al fine di consentire al debitore di avere nuove possibilità.

Inoltre si potrà accedere ad una nuova procedura di esdebitazione solo trascorsi cinque anni dalla precedente e non se ne potranno chiedere più di due.

Il legislatore dovrà anche dettare opportune disposizioni di coordinamento tra procedure riguardanti membri della medesima famiglia.

Segnaliamo infine che la Cassazione con una recente sentenza (sez 1, 1/2/2016 n. 1869) ha affermato che possono accedere alla procedura di sovraindebitamento anche il professionista o l’imprenditore, non fallibile, che abbiano contratto debiti per scopi diversi dall’attività professionale o imprenditoriale svolta, ovvero per debiti sorti per ragioni familiari in senso ampio.

5) PRIVILEGI E GARANZIE MOBILIARI NON POSSESSORIE ARTT. 10 E 11

La legge delega prevede una rivisitazione complessiva di tutte le figure di privilegio oggi esistenti nell’ordinamento. Il Legislatore avrebbe dovuto prevedere, come elemento di novità assoluta, un sistema di garanzie mobiliari non possessorie, peraltro già presenti in altri paesi.  Con il decreto legge 3/5/2016 n. 59 recante “disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonchè a favore degli investitori in Banche in liquidazione” pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 4/5/2016, il Governo ha anticipato l’introduzione nell’ordinamento di una nuova garanzia reale mobiliare di natura non possessoria il c.d. “pegno non possessorio”. Con la Legge Delega si pensava anche di introdurre una deroga al divieto del patto commissorio e di favorire modalità più semplici e dirette di soddisfacimento dei creditori sui beni oggetto della garanzia. Intanto con il predetto D.L. 3/5/2016 n. 59 è stato già introdotto e disciplinato il “patto marciano”.

Pegno non possessorio

L’imprenditore potrà costituire tale garanzia su beni mobili destinati all’esercizio dell’impresa (con esclusione dei beni mobili registrati), dai macchinari alle scorte di magazzino passando per i beni in corso di lavorazione destinati all’esercizio dell’impresa senza perderne l’utilizzo e quindi continuando ad utilizzarli; conserva inoltre il diritto di alienare i beni pignorati e trasferire la garanzia sui proventi della vendita degli stessi. La mancata disponibilità del bene da parte del creditore garantito è compensata da adeguate forme di pubblicità che, nello specifico, consistono nell’iscrizione della garanzia in un apposito registro informatizzato costituito presso l’agenzia delle Entrate dove andranno indicati creditore, debitore, descrizione del bene dato in garanzia e del credito garantito. Avrà una durata, rinnovabile prima della scadenza, di 10 anni. A regolare tutte le operazioni di iscrizione, cancellazione, modifica e consultazione e le modalità di accesso sarà un Dm Economia e Giustizia che dovrà anche indicare i diritti di visura e certificato in modo da garantire la copertura dei costi della struttura. I tempi per l’emanazione sono ridotti: 30 gg dall’entrata in vigore della legge di conversione. Al verificarsi di un evento che determina l’escussione del pegno il creditore, previo avviso scritto al datore della garanzia ha facoltà di procedere: a) alla vendita del/i bene/i oggetto del pegno (tramite procedura competitiva anche avvalendosi di soggetti specializzati in forza di stima effettuata da operatori esperti, nominati di comune accordo delle parti o in caso contrario dal Giudice) con adeguate forme di pubblicità, trattenendo il corrispettivo sino alla concorrenza della somma garantita e con obbligo di rendere l’eventuale eccedenza al debitore; b) alla escussione dei crediti oggetto di pegno fino alla concorrenza della somma garantita; c) ove previsto nel contratto di pegno, alla locazione del bene oggetto della garanzia trattenendo i canoni imputandoli alla soddisfazione del proprio credito sino alla concorrenza della somma garantita; d) ove previsto nel contratto di pegno, all’appropriazione del bene fino alla concorrenza della somma garantita. In caso di fallimento del debitore il creditore può procedere a tutto quanto indicato previa insinuazione e ammissione del credito al passivo, con prelazione. Infine il debitore entro tre mesi dalla comunicazione del creditore può agire in giudizio per il risarcimento del danno se la vendita è avvenuta in violazione dei criteri e modalità suindicate e il prezzo della vendita o il corrispettivo della locazione non sono conformi al valore comunicato. Agli effetti degli art. 66 e 67 L.F. in tema di revocatoria il pegno non possessorio è equiparato al pegno.

6) TUTELA DEI DIRITTI PATRIMONIALI DEGLI ACQUIRENTI DI IMMOBILI DA COSTRUIRE

Il decreto legislativo 20/6/2005 n. 122 è intervenuto per disciplinare un ambito molto preoccupante all’interno del settore degli acquisti immobiliari, sui quali incombe pericolosamente l’alea di imbattersi in imprenditori edili senza scrupoli e spesso neanche solventi. L’acquirente di immobili da costruire anticipa una congrua parte del prezzo al venditore (versato all’atto della sottoscrizione di contratti preliminari di vendita ovvero di semplici compromessi) con il rischio di non poter ottenere la disponibilità dell’immobile o con l’ulteriore pericolo di subire, una volta entrato in possesso dello stesso, azioni di rivendicazione, di rilascio, di revoca ad opera del curatore fallimentare qualora l’alienante abbia contratto debiti con terzi soggetti anteriormente al definitivo atto di vendita, sempreché tali debiti gli siano opponibili. Tale decreto ha previsto pertanto che il costruttore debba consegnare all’acquirente una fideiussione bancaria o di impresa assicuratrice o da intermediari finanziari iscritti all’albo speciale tenuto dalla Banca d’Italia di importo pari alle somme già riscosse e da riscuotere e una polizza assicurativa indennitaria di durata decennale a garanzia dell’obbligo posto a carico dello stesso di risarcire gli eventuali danni materiali e diretti dell’immobile derivanti da rovina totale o parziale o da gravi difetti costruttivi.

Al fine di rendere questa tutela effettiva il governo deve legiferare per garantire il controllo di legalità da parte del notaio rogante sull’adempimento di tali obblighi stabilendo che, in caso di inadempimento, il contratto di trasferimento degli immobili – che deve avvenire sempre per atto pubblico o scrittura privata autenticata – deve essere nullo.

7) RAPPORTI TRA LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE E MISURE PENALI

l’art. 13 stabilisce i principi ed i criteri che devono regolare i rapporti della liquidazione giudiziale con:

  • il codice delle leggi antimafia e  delle misure di sicurezza stabilendo la preferenza di queste ultime adottate anteriormente o anche  successivamente alla dichiarazione di insolvenza;
  • la disciplina relativa alla responsabilità amministrativa degli enti e in particolare con le misure cautelari previste da tale normativa, rispettando il principio di prevalenza del regime concorsuale, salvo che ricorrano ragioni di preminente tutela di interessi di carattere penale.
  •  

8) MODIFICHE AL CODICE  CIVILE

L’art 14 indica una serie di modifiche  del codice  civile che il Governo dovrà adottare per la disciplina organica di attuazione dei principi e criteri direttivi della legge delega.

Tra questi si segnala il dovere dell’imprenditore e degli organi sociali di istituire assetti organizzativi adeguati per la  rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale nonchè di attivarsi per l’adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi ed il recupero della continuità aziendale.

9) LA LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA

L’attuale disciplina prevede il ricorso alla LCA in caso di insolvenza di determinate tipologie di imprese, ivi comprese le società cooperative.

Il disegno di legge approvato alla Camera riteneva di limitare la Liquidazione Coatta Amministrativa alle sole imprese del settore bancario, assicurativo e dell’intermediazione finanziaria nell’ambito delle quali l’istituto risponde anche alla necessità di accertare e sanzionare gravi irregolarità intervenute nella gestione attraverso un procedimento amministrativo.

Il senato impegna il Governo a individuare per tutte le società cooperative attraverso la revisione dell’Istituto della gestione commissariale di cui all’art. 2545 sexiesdecies cc e ferma restando l’applicazione della LCA nei casi di irregolarità riscontrate durante l’attività di vigilanza, soluzioni anche di carattere conservativo volte a facilitare l’ingresso delle cooperative nella procedura di composizione assistita della crisi, ovvero promuovere soluzioni diverse, ove possibile conservative, ai sensi degli art. 5,6,e 7 della legge delega.

All’autorità amministrativa di vigilanza (Banca d’Italia, Consob) resta però attribuito un ruolo centrale nella segnalazione delle situazioni di allerta e nell’eventuale composizione assistita della crisi. Si sottolinea, inoltre, che la misura della liquidazione coatta amministrativa rimane in vigore quale alternativa alla risoluzione. Come noto, a partire dal 1/1/2016, con il recepimento della Direttiva Europea 2014/59 (BRRD, è entrata in vigore in Italia la normativa sulle crisi bancarie che prevede l’utilizzo dello strumento del Bail-in” (salvataggio interno). In presenza di uno stato di dissesto, dunque, le autorità di risoluzione (La Banca d’Italia è già stata designata autorità di risoluzione italiana) devono valutare se è possibile attivare la procedura ordinaria di liquidazione coatta amministrativa o se è necessario avviare la procedura di risoluzione.

CONCLUSIONE

E’ del tutto evidente la improcrastinabile necessità di intervenire con una riforma organica del diritto dell’insolvenza per risolvere le problematiche attuali caratterizzate dalle rilevanti entità dei passivi delle procedure concorsuali, dal minimo grado di soddisfazione dei creditori e dalla durata delle procedure che comportano anche per il Ministero della Giustiza un costo enorme in considerazione degli effetti della nota legge Pinto. Vi sono infatti oltre 600 mila processi civili arretrati a «rischio Pinto» che potrebbero costare dai 240 milioni euro ai 480 milioni euro, a seconda che siano moltiplicati per la soglia minima o quella massima di indennizzo per eccessiva durata, fissate rispettivamente in 400 o 800 euro dalla legge Stabilità 2016. Somme consistenti, che vanno ad aggiungersi al debito pregresso di 400 milioni euro e che costituiscono il «debito giudiziario» che assorbe risorse (il relativo capitolo di bilancio è finanziato ogni anno con 180 milioni euro). La necessità di far presto è anche suggerita dalla circostanza che in sede Europea è stato già creato un gruppo di lavoro in materia di fallimenti e ristrutturazioni nell’ambito dell’armonizzazione delle norme sulla crisi di impresa, promosso dalla Commissione Europea, che dovrà elaborare una potenziale proposta legislativa che includa norme minime in tema di ristrutturazione dei debiti e dell’insolvenza. Oggi infatti esistono gruppi di società che operano come unico soggetto economico, in più ordinamenti, con sedi in paesi diversi. Occorrerà quindi armonizzare il diritto dell’insolvenza al fine di ridurre le divergenze tra le legislazioni nazionali che possono ostacolare gli investimenti e l’accesso ai finanziamenti. D’altronde la Comunità Europea in molteplici documenti e scritti ha affermato che la normativa sull’insolvenza non può più essere considerata un affare interno degli stati membri. I bilanci delle Banche europee infatti sono pieni di crediti deteriorati che non vengono smaltiti a causa di legislazioni inefficienti.

(Altalex, 1° novembre 2017. Articolo di Michele Salerno)

 

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