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Il procedimento unitario

Il Codice della crisi (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), entrato in vigore il 15 luglio 2022, ha avuto una lunga vacatio legis, connotata già da un primo intervento correttivo nel 2020 (d.lgs. 26 ottobre 2020, n. 147) e un recente e ulteriore intervento normativo del legislatore delegato (d.lgs. 17 giugno 2022, 83) finalizzato a dare attuazione alla cd. Direttiva Insolvency (Dir. UE 2019/1023 del 20 giugno 2019, v. M. Ferro, Il Codice della crisi e dell’insolvenza è legge: qualche novità, in questa Rivista, 4 luglio 2022).

Come già evidenziato (v. G. Fichera, La transizione verso il Codice della crisi: ancora molte norme da attuare, in questa Rivista, 15 luglio 2022) quello delle riforme in materia in concorsuale è un cantiere ancora aperto, in ragione non solo di eventuali e ulteriori decreti correttivi, ma anche del necessario completamento della normativa secondaria funzionale alla gestione di nodi nevralgici (anche) del nuovo procedimento unitario, a partire dalla notificazione al debitore del ricorso per l’apertura della liquidazione giudiziale e del decreto di convocazione (v. infra, in merito al regolamento sub art. 359, comma 2, CCII).

L’entrata in vigore del Codice della crisi segna, quindi, il debutto del procedimento unitario per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e la liquidazione giudiziale, in attuazione del principio contenuto nell’art. 2, comma 1, lett. d), l. 19 ottobre 2017, n. 155, che faceva riferimento a un unico modello processuale per l’accertamento dello stato di crisi o di insolvenza del debitore (sul tema v. F. De Santis, Il processo c.d. unitario per la regolazione della crisi o dell’insolvenza: effetti virtuosi ed aporie sistematiche, in Fall., 2020, 157; M. Montanari, Il cosiddetto procedimento unitario per l’accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza, in Fall., 2019, 563).

In tale contenitore confluiscono sia gli strumenti di regolazione della crisi (definiti dall’art. 2 lett. m-bis CCI – alla luce delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 83/2022 – come le misure, gli accordi e le procedure volti al risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, oppure volti alla liquidazione del patrimonio o delle attività che, a richiesta del debitore possono essere preceduti dalla composizione negoziata della crisi) che la procedura di liquidazione giudiziale e quella finalizzata all’apertura della liquidazione controllata del sovraindebitato (v. art. 7, comma 2, CCII).

Giurisdizione e competenza e cd. COMI

Prima di addentrarci nella disciplina del procedimento unitario occorre richiamare, brevemente, le norme del Codice dedicate alla giurisdizione e alla competenza (che aprono il Titolo III – Parte prima del Codice della crisi, dove è contenuta la disciplina del procedimento unitario), connotate dal comune riferimento al centro principale degli interessi (cd. COMI, di matrice euronitaria, v. art. 3 Reg. UE 2015/848 del 20 maggio 2015 e Cass. S.U. 20 aprile 2021, n. 10356) e individuato – nell’art. 2, lett. m) CCII – nel luogo in cui il debitore gestisce i suoi interessi in modo abituale e riconoscibile da terzi)

L’art. 11, comma 1, CCII, facendo salve le convenzioni internazionali e la normativa dell’Unione europea (v. Reg. UE 2015/848 cit.), radica la giurisdizione italiana sulla domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza o a una procedura di insolvenza disciplinata nel Codice della crisi alla presenza in Italia del centro degli interessi principali (centre of main interests, cd. COMI) o di una dipendenza.

L’art. 26 CCII prevede che l’imprenditore che ha all’estero il centro degli interessi principali può essere ammesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza o assoggettato a una procedura di insolvenza nella Repubblica italiana (anche se è aperta analoga procedura all’estero) quando ha una dipendenza in Italia.

Al fine di evitare il cd. forum shopping il trasferimento del cd. COMI all’estero non esclude la giurisdizione italiana se avvenuto nell’anno anteriore al deposito della domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza o a una procedura di insolvenza (art. 26, comma 2, CCII).

La disciplina dell’insolvenza nel Codice della crisi, oltre a evocare la nuova nozione di COMI prende ormai atto della frequenza delle ipotesi di insolvenza transfrontaliera (cd. cross-border insolvency), regolandone i rapporti in tema di giurisdizione in conformità agli strumenti convenzionali e agli obblighi scaturenti dalla normativa europea.

L’art. 26, comma 4, CCII prevede che il tribunale, in caso di apertura di una procedura di insolvenza transfrontaliera ai sensi del Reg. UE 2015/848, dichiari se la procedura è principale, secondaria o territoriale.

Il COMI assume rilievo anche sul piano della ripartizione della competenza in relazione al circondario del tribunale (art. 27, comma 2, CCII), ad eccezione delle imprese in a.s. e ai gruppi di imprese di rilevante dimensione per le quali è prevista la competenza del tribunale presso cui è istituita la sezione specializzata in materia di impresa ex art. 1 d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168 (art. 27, comma 1, CCII).

L’art 27, comma 3, CCII prevede che il cd. COMI si presume coincidente:

a) per la persona fisica esercente attività di impresa nella sede legale risultante dal registro delle imprese o, in mancanza, nella sede effettiva dell’attività abituale;

b) per la persona fisica non esercente attività d’impresa, con la residenza o domicilio o se sono sconosciuti con l’ultima dimora nota o in mancanza con il luogo di nascita. Se questo non è in Italia, la competenza è del Tribunale di Roma;

c) per la persona giuridica e gli enti, anche non esercenti attività d’impresa, con la sede legale risultante dal registro delle imprese o, in mancanza, con la sede effettiva dell’attività abituale o, se sconosciuta, presso il Tribunale di Roma.

A una prima lettura della norma si possono fare due considerazioni.

La prima è che, nonostante la diversa formulazione dell’art. 27, comma 3, CCII rispetto all’art. 9 l.fall. (che faceva riferimento alla sede principale intesa dalla giurisprudenza di legittimità come sede effettiva e come tale prevalente anche rispetto alla sede legale indicata nel registro delle imprese, che pertanto costituiva una presunzione iuris tantum, v. ex multis Cass., 14 giugno 2019, n. 16116) si prospettano ampi spazi per la continuità applicativa del criterio di effettività, cui sembra dar corpo la stessa nozione di COMI contenuta nell’art. 2 lett. m) CCII incentrata proprio sul luogo in cui il debitore gestisce i suoi interessi in modo abituale e riconoscibile da terzi. L’art. 26, comma 3, CCII esordisce infatti prevedendo che il centro degli interessi principali del debitore si presume coincidente con quelli indicati nelle lettere a), b) e c) (v. supra). Di conseguenza, potranno trovare applicazione gli indirizzi della giurisprudenza maturati sotto il vigore della legge fallimentare, con la conseguenza che il cd. COMI, fino a prova contraria, si presume essere nel luogo in cui è la sede legale risultante dal registro delle imprese. Dal punto di vista probatorio è chi invoca la presenza del COMI in un luogo diverso da quello ove è posta la sede legale a doverne dare prova, ferma restando la possibilità che anche il tribunale stesso a poter rilevare, ex officio, la propria incompetenza laddove dagli atti risulti un diverso COMI.

La seconda considerazione attiene al fatto che la disciplina della competenza nel Codice della crisi si cala in un contesto normativo non più relegato a disciplinare l’insolvenza o lo stato di crisi dell’imprenditore commerciale, come la legge fallimentare del ’42, ma impostato su una prospettiva sistematica finalizzata a regolare l’insolvenza o la crisi di qualsiasi debitore, anche non imprenditore, come emerge dalle stesse regole di individuazione del COMI contenute nell’art. 27, comma 3, CCII e sopra riportate.

La disciplina unitaria della competenza – e la regola dell’irrilevanza del trasferimento del centro principale nell’anno antecedente il deposito della domanda – ha così un ambito applicativo ben più ampio dell’archetipo contenuto nell’art. 9, comma 2, l.fall. (limitato all’iniziativa per la dichiarazione di fallimento del debitore munito delle soglie indicate nell’art. 1, comma 2, l.fall.), in quanto esteso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, che comprendono non solo le procedure cui può accedere l’imprenditore commerciale cd. soprasoglia (e in alcuni casi anche quello agricolo), ma anche quelle riservate al debitore in stato di sovraindebitamento (secondo la nozione data dall’art. 2 lett. c) CCII). Di conseguenza, il richiamo contenuto nell’art. 28 CCII, accanto agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, alla sola liquidazione giudiziale e non anche alla liquidazione controllata del sovraindebitato, non è perfettamente allineato alla prospettiva sistematica propria del Codice della crisi in merito alla quale viene a determinarsi una distonia sistematica la cui soluzione è rimessa all’interpretazione giurisprudenziale (che potrà ben fare riferimento, in termini sistematici, al richiamo alla liquidazione controllata del sovraindebitato contenuto nell’art. 7, comma 2, CCII).

I soggetti legittimati

L’art. 37, comma 1, CCII prevede che la domanda di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza (v. Titolo IV, Parte prima del Codice della crisi) è proposta con ricorso del debitore.

Secondo l’art. 37, comma 2, CCII la domanda di apertura della liquidazione giudiziale è proposta con ricorso del debitore, degli organi e delle autorità amministrative che hanno funzioni di controllo e di vigilanza sull’impresa, di uno o più creditori o del pubblico ministero.

L’art. 37 CCII non richiama la procedura di liquidazione controllata del sovraindebitato (artt. 268 ss. CCII), cui debbono essere applicate, tuttavia – al di fuori delle scarne disposizioni procedurali presenti nella disciplina liquidatorie delle cd. insolvenze – minori – le disposizioni del Titolo III (art. 26 ss. CCII), in quanto compatibili (peraltro espressamente richiamate dall’art. 65, comma 2, CCII in materia di composizioni delle crisi da sovraindebitamento).

La domanda presentata del debitore, entro il giorno successivo, è comunicata dal cancelliere al registro delle imprese, dove deve essere iscritta (entro il giorno successivo) con espressa menzione dell’eventuale richiesta di misure protettive (art. 40, comma 3, CCII). In caso di domanda di omologazione degli a.d.r., gli accordi devono essere pubblicati nel registro delle imprese, contestualmente al deposito e acquistano efficacia dal giorno della pubblicazione (art. 40, comma 3, CCII). La domanda del debitore, infine, deve essere trasmessa al P.M. unitamente agli allegati, ai sensi dell’art. 40, comma 3, CCII. Tale previsione è collegata al potere di intervento del P.M. riconosciuto, in modo generale, in tutti i procedimenti per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza o a una procedura di insolvenza.

Il ricorso: contenuti e il corredo documentale

Ai sensi dell’art. 40, comma 1, CCII il ricorso – in piena continuità con quanto previsto nell’art. 125 c.p.c. – deve indicare l’ufficio giudiziario, l’oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni. È sottoscritto dal difensore munito di procura. Per le società la domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi è sottoscritta da coloro che hanno la rappresentanza della società (art. 120 bis CCII). Nel procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale il debitore può stare in giudizio personalmente, così come avviene nell’ipotesi di domanda di apertura della liquidazione controllata del sovraindebitato (v. 269, comma 1, CCII, in cui è prevista l’assistenza dell’OCC).

a) la domanda del debitore

Il deposito del ricorso da parte del debitore che chiede l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza o a una procedura di insolvenza deve essere accompagnato dalla documentazione indicata nell’art. 39, comma 1, CCII e cioè:

– scritture contabili e fiscali obbligatorie

– dichiarazioni dei redditi concernenti i tre esercizi o anni precedenti o l’intera esistenza dell’impresa o dell’attività economica o professionale, se ha avuto una durata minore

– dichiarazioni IRAP e le dichiarazioni annuali IVA relative ai medesimi periodi

– i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi

– una relazione sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria aggiornata, uno stato particolareggiato ed estimativo delle attività e una certificazione sui debiti fiscali, contributivi e per premi assicurativi

– l’elenco nominativo dei creditori e l’indicazione dei crediti e delle cause di prelazione, nonché l’elenco nominativo di coloro che vantano diritti reali e personali su cose in possesso del debitore, con l’indicazione di queste ultime e del titolo sul quale si fonda il possesso (con indicazione del domicilio digitale dei creditori e dei titolari di diritti reali che ne siano muniti

– una relazione riepilogativa degli atti di straordinaria amministrazione indicati nell’art. 94, comma 2, CCII compiuti nel quinquennio anteriore al deposito della domanda.

Nell’ipotesi in cui la domanda sia depositata con riserva di presentare il piano, la proposta e gli accordi, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. a) CCII, il bagaglio documentale è più snello – ferma restando la necessità di depositare l’intera documentazione prevista dall’art. 39, commi 1 e 2, CCII nel termine fissato ex art. 44, comma 1, lett. a) CCII – ed è costituito unicamente dai bilanci degli ultimi tre esercizi o, per le imprese non soggette all’obbligo di redazione del bilancio, dalle dichiarazioni dei redditi e dalle dichiarazioni IRAP concernenti i tre esercizi precedenti, l’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione, oltre l’indicazione del domicilio digitale, qualora ne siano muniti (art. 39, comma 3, CCII).

La domanda di accesso al concordato preventivo produce – in continuità con la disciplina prevista nella legge fallimentare – gli effetti di cui all’art. 46 CCII, con il cd. spossessamento attenuatodel debitore e la necessaria autorizzazione del tribunale (o del giudice delegato dopo l’apertura della procedura) per il compimento degli atti di straordinaria amministrazione, pena l’inefficacia e la revoca del decreto ex art. 44 CCII. I crediti di terzi sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore sono prededucibili. I creditori non possono acquisire diritti di prelazione con efficacia rispetto ai creditori concorrenti, salva autorizzazione del tribunale (o del giudice delegato dopo l’apertura della procedura). Le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni anteriori alla pubblicazione della domanda nel registro delle imprese sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori.

b) la domanda del creditore, degli organi e delle autorità amministrative con compiti di controllo e vigilanza e del P.M. e la notificazione al debitore

La domanda presentata da soggetti diversi dal debitore può avere per oggetto solamente l’apertura della liquidazione giudiziale. Le novità rispetto alla formulazione degli artt. 67 l.fall. sono importanti, a partire dalla legittimazione – accanto ai creditori e al P.M. – degli organi e delle autorità amministrative preposte a funzioni di controllo e vigilanza sull’impresa. Si tratta non solo di una legittimazione alla domanda di apertura della liquidazione giudiziale sin qui inedita e riconnessa alla funzione istituzionale svolta, ma formulata dal legislatore in modo piuttosto ampio.

Anche la legittimazione del P.M. alla domanda di apertura della liquidazione giudiziale è ampliata essendo prevista in ogni caso in cui ha notizia dell’esistenza dello stato di insolvenza, con un evidente tratto di discontinuità rispetto all’art. 7 l.fall. Alla luce del tenore letterale dell’art. 38 CCII non è più necessario che il P.M. agisca o su segnalazione del giudice civile o sulla base di un necessario collegamento tra la notizia dell’insolvenza e un procedimento penale o dalle altre ipotesi tipizzate nell’art. 7 lett. a) l.fall. Sul punto eventuali protocolli tra le Procure della Repubblica e i cd. creditori pubblici qualificati (come quelli indicati, ad es., nell’art. 25 novies CCII) potrebbero favorire l’emersione dell’insolvenza e l’apertura di procedure di liquidazione giudiziale nei confronti di soggetti che non pagando le imposte, i contributi previdenziali ecc… finiscono per operare sul mercato mediante un’evidente distorsione dei meccanismi concorrenziali.

L’art. 38, comma 2, CCII mantiene ferma la possibilità per l’autorità giudiziaria di segnalare al P.M. l’insolvenza emersa nel corso di un procedimento.

Il generalizzato potere di intervento del P.M. in tutti i procedimenti per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e alle procedure di insolvenza si collega a una disposizione innovativa – e ispirata a evidenze di semplificazione ed economia processuale – contenuta nell’art. 38, comma 4, CCII, in base alla quale il rappresentante del pubblico ministero intervenuto in un procedimento instaurato davanti al tribunale può intervenire anche quale sostituto del procuratore generale della corte d’appello – che ne ravvisi l’opportunità – anche nel successivo grado di giudizio.

La necessaria trattazione unitaria delle domande relative a un medesimo debitore e le preclusioni stabilite dal d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83

In base all’art. 7, comma 1, CCII le domande di accesso agli strumenti di regolazione della crisi dell’insolvenza e alle procedure di insolvenza sono trattate in un unico procedimento e ogni domanda sopravvenuta è riunita a quella già pendente. Il procedimento si svolge nelle forme previste negli artt. 40 e 41 CCII.

La confluenza delle domande nell’ambito di un medesimo procedimento è regolata dal criterio di priorità della trattazione delle domande dirette a regolare crisi o l’insolvenza con strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale o dalla liquidazione controllata del sovraindebitato, a condizione che (art. 7, comma 2, CCII):

a) la domanda non sia manifestamente inammissibile

b) il piano non sia manifestamente inadeguato a raggiungere gli obiettivi prefissati

c) nella proposta siano espressamente indicate la convenienza per i creditori o, in caso di concordato con continuità aziendale, le ragioni di assenza del pregiudizio per i creditori

Tali verifiche di ammissibilità sono svolte dal giudice anche d’ufficio, oltre che su eccezione delle parti. Il rilievo officioso impone, tuttavia, la necessaria e preventiva instaurazione del contraddittorio con il debitore sulla causa di inammissibilità.

L’art. 7, comma 3, CCII (salvi i casi di conversione previsti negli artt. 73 e 83 CCII) stabilisce che se la domanda non viene accolta (quindi ad es. nell’ipotesi in cui la proposta di concordato non sia votata dalla maggioranza dei creditori) e viene accertato lo stato di insolvenza – così come nelle ipotesi di inammissibilità o improcedibilità della domanda e nell’ipotesi prevista nell’art. 49, comma 2, CCII – il tribunale, su istanza dei soggetti legittimati (v. supra art. 37 e 38 CCII), procede all’apertura della liquidazione giudiziale. Viene, in tal modo, confermata la necessità che l’apertura della liquidazione giudiziale avvenga su domanda di parte.

L’art. 40, commi 9 e 10, CCII – alla luce delle modifiche apportate dal d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83 – regola i limiti temporali di presentazione di nuove domande prevendo che:

– in pendenza di un procedimento di accesso a uno strumento di regolazione e dell’insolvenza, la domanda di apertura della liquidazione giudiziale è proposta nel medesimo procedimento e fino alla rimessione della causa al collegio per la decisione con ricorso ex art. 37 CCII e il deposito della documentazione ex art. 39 CCII. In caso di domanda separata il tribunale procede alla riunione, anche d’ufficio, con il procedimento pendente (art. 40, comma 9, CCII);

– in caso di pendenza di un procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale introdotto da un soggetto diverso dal debitore, viene introdotta, ad opera dell’art. 40, comma 10, CCII una preclusione che impone al debitore di presentare domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza nel medesimo procedimento entro la prima udienza. Ove proposta separatamente, nel medesimo termine, è riunita d’ufficio al procedimento pendente. Dopo la prima udienza la domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi è ammissibile solo in esito alla conclusione del procedimento di apertura della liquidazione giudiziale, la cui trattazione diventa, pertanto, prioritaria. Il termine di decadenza non opera nell’ipotesi in cui la domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza sia proposta all’esito della composizione negoziata, entro sessanta giorni dalla comunicazione di cui all’art. 17, comma 8, CCII. La norma appena richiamata disciplina la conclusione della composizione negoziata della crisi e, in realtà, prevede tre comunicazioni a carico dell’esperto: all’imprenditore (in merito all’inserimento della relazione finale nella piattaforma), al giudice (in caso di concessione di misure protettive e cautelari, affinché ne dichiari cessati gli effetti) e al segretario generale della camera di commercio (in merito alle due comunicazioni appena richiamate) in relazione all’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata. L’interpretazione preferibile è quella che fa riferimento alla comunicazione all’imprenditore dell’inserimento della relazione nella piattaforma, considerato che l’art. 40, comma 10, CCII prevede una decadenza nei suoi confronti.

La domanda di apertura della liquidazione giudiziale e l’instaurazione del contraddittorio con il debitore: lavori ancora in corso

Nell’ipotesi di domanda proposta da un creditore o da coloro che hanno funzioni di controllo o di vigilanza sull’impresa o dal P.M. l’art. 40, comma 6, CCII stabilisce che il ricorso e il decreto di convocazione siano notificati a cura dell’ufficio all’indirizzo del servizio elettronico di recapito certificato qualificato o di posta elettronica certificata del debitore risultante dal registro delle imprese ovvero dall’Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti. L’esito della comunicazione è trasmesso con modalità telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata del ricorrente.

Sul punto l’art. 40, comma 6, CCII è in continuità con l’ultima formulazione dell’art. 15, comma 3, l.fall., così come modificato dall’art. 17 D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, con modif. L. 17 dicembre 2012, n. 221. Un segno di discontinuità del Codice della crisi – funzionale a una maggior semplificazione e riduzione dei costi – riguarda, invece, l’ipotesi in cui la notificazione a mezzo posta elettronica certificata non vada a buon fine o non abbia esito positivo per causa imputabile al destinatario. In tale ipotesi è previsto l’inserimento dell’atto, a cura della cancelleria, nell’area web riservata di cui all’art. 359 CCII e il perfezionamento della notifica a decorrere dal terzo giorno successivo a tale inserimento. Tuttavia, l’art. 359 CCII prevede che l’area web di cui all’art. 40, comma 7, CCII sia realizzata dal Ministero dello sviluppo economico (sentita l’Agenzia per l’Italia digitale e avvalendosi delle strutture informatiche di ci all’art. 6-bis, comma 4, D.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, cd. Codice dell’amministrazione giudiziale). Non solo: l’art. 359, comma 2, CCII prevede l’emanazione di un regolamento da parte dello stesso Ministro dello sviluppo economico (di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro per la pubblica amministrazione, sentito il Garante per la protezione dei dati personali) la cui emanazione, non ancora avvenuta (nonostante il termine prescritto al 1° marzo 2020, v. G. Fichera, cit.), è conditio sine qua non per l’adempimento, da parte della cancelleria, degli adempimenti previsti nell’art. 40, comma 7, CCII. Difatti, il regolamento deve stabilire, in base a quanto previsto nell’art. 359, comma 2, CCII:

– la codifica degli eventi che generano avvisi di mancata consegna, distinguendo tra quelli imputabili e quelli non imputabili al destinatario

– le modalità di inserimento automatico degli atti nell’area web riservata

– le modalità di accesso a ciascuna area da parte dei rispettivi titolari

– le modalità di comunicazione al titolare dell’area web riservata del link per accedere agevolmente all’atto oggetto della notifica, escludendo la rilevanza di questa comunicazione ai fini del perfezionamento della notifica che consegue all’inserimento dell’atto nell’area web

– il contenuto e le modalità del rilascio da parte della cancelleria dell’attestazione dell’avvenuto inserimento dell’atto da notificare nell’area web riservata

– il contenuto della ricevuta di avvenuta notifica mediante inserimento nell’area web riservata e le modalità di firma elettronica

– il periodo di tempo per il quale è assicurata la conservazione dell’atto notificato nell’area web riservata

– le misure necessarie ad assicurare la protezione dei dati personali.

Fino all’emanazione di tale regolamento, in caso di esito negativo della notifica a mezzo pec, occorre applicare direttamente l’art. 40, comma 8, CCII, in base al quale, quando la notificazione non risulta possibile o non ha esito positivo, per cause non imputabili al destinatario, la notifica, a cura del ricorrente, si esegue esclusivamente di persona a norma dell’art. 107, comma 1, D.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, presso la sede risultante dal registro delle imprese o, per i soggetti non iscritti nel registro delle imprese, presso la residenza. Quando la notificazione non può essere compiuta con tali modalità la notifica si esegue con il deposito dell’atto nella casa comunale della sede che risulta iscritta nel registro delle imprese ovvero presso la residenza per i soggetti non iscritti nel registro delle imprese e si perfeziona al momento del deposito.

Con questo terzo passaggio – dopo l’esito negativo della notifica a mezzo pec e di quella eseguita di persona presso la sede legale o la residenza – si recupera le modalità di notificazione adottate con la più recente formulazione dell’art. 15, comma 3, l.fall. (a seguito delle riforme ad opera del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. con modif. L. 16 dicembre 2012, n. 221). In sostanza, se l’ufficiale giudiziario non trova il destinatario o altro consegnatario abilitato a ricevere la notifica presso la sede o la residenza può perfezionare la notificazione direttamente mediante il deposito dell’atto presso il comune in cui si trova la sede legale o la residenza. Tale conclusione ermeneutica si fonda sulla corrispondenza, in larga parte, tra la formulazione dell’art. 15, comma 3quarto periodo, l. fall. con quella dell’art. 40, comma 8, secondo periodo, CCII.

Per le persone fisiche non obbligate a munirsi del domicilio digitale è, tuttavia, necessaria, in base all’art. 40, comma 8, ultimo periodo, CCII la comunicazione della notizia deposito presso la casa comunale, mediante affissione dell’avviso in busta chiusa sigillata alla porta dell’abitazione o dell’ufficio e raccomandata con avviso di ricevimento. Queste ultime formalità non condizionano, tuttavia, il momento perfezionativo della notifica riconducibile, in base al tenore letterale dell’art. 40, comma 8, CCII al deposito dell’atto presso la casa comunale.

Riferimenti normativi:

Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, Titolo III – Procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza

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