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Prima di pignorare beni del contribuente esecutato presso terzi, l’Agente della riscossione deve notificare correttamente le cartelle al contribuente stesso. A cura di Antonio Terlizzi

La C.T.P. Catania, sez. VI, con la sentenza n. 176 del 15 febbraio 2011 ha statuito, in tema di pignoramento presso terzi ex articolo 72 bis del D.p.r. n. 602/73 , i seguenti interessanti principi.

  1. Sussiste la giurisdizione e la competenza della Commissione Tributaria, in tema di pignoramento presso terzi, stante che, ai sensi dell’art. 2 del D.lgs. n. 546/1992, restano escluse dalla giurisdizione tributaria le controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata successivi alla notifica della cartella di pagamento. Infatti ,qualora il ricorrente lamenti proprio la mancata notifica di della cartella, trova applicazione l’art. 19 c. 3 del D.lgs. 546/1992 , secondo cui la mancata notificazione di atti impugnabili adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo.

  2. È noto, a riguardo, l’insegnamento della Suprema Corte la quale ha statuito che in tema di contenzioso tributario “l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del D.lg. n. 546/1992 va interpretata in senso estensivo sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della p.a. che in conseguenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la l. n. 448/ del 2001” (Cass. Civ. 25/02/2009 n. 4513).

  3. Il predetto principio di diritto corrisponde, peraltro, alla ragionevolezza del sistema normativo, in quanto diversamente opinando si priverebbe il contribuente della tutela della giurisdizione tributaria nei casi di omissione o irregolare notificazione della cartella di pagamento.
    Ciò, in quanto l’art. 57 del D.p.r. n. 602 del 1973, stabilisce (ma solo per le entrate aventi carattere tributario) che non sono ammesse dinanzi al giudice ordinario (dell’esecuzione) le opposizioni relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo. Inammissibilità che non sussiste, invece, per le entrate non aventi carattere tributario giusta il disposto dell’art. 29 D.lgs. n. 46/1999 (dal titolo appunto “Garanzie giurisdizionali per le entrate non devolute alle Commissioni tributarie”), secondo cui alle dette entrate “non si applica la disposizione del comma dell’art. 57 del d.p.r. 29/09/1973 n. 602” (Conforme: Cass. Civ. Sez. Unite 12/06/2009 n. 10849).
    Sicché, inequivocabilmente si deduce che, ove in assenza di omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento (relativa a credito di imposta), il contribuente venisse privato della possibilità dinanzi al giudice tributario il successivo atto esecutivo promosso dall’esattore per vizi relativi alla regolarità formale e alla notificazione del titolo esecutivo (costituito dalla cartella stessa), non potendo per tali vizi adire il giudice ordinario l’esecutato rimarrebbe privato di ogni garanzia giurisdizionale. Ciò che è in costituzionalmente incongruo. Si richiamano, a riguardo, le statuizioni della Corte Costituzionale, che ribadiscono la necessità di interpretazione costituzionalmente adeguata della disciplina processuale tributaria (sent. n. 255/2010, ord. 217/2010).

  4. Nel caso in cui al contribuente non venga notificata la cartella di pagamento, il pignoramento eseguito successivamente è nullo per carenza dei presupposti essenziali. La procedura , in tale ipotesi,avviata dalla società di riscossione è del tutto illegittima per mancata notifica delle cartelle esattoriali presupposte all’atto di pignoramento impugnato, ai sensi dell’art. 50, D.P.R. n. 602/1973. Ne consegue che, mancando alcuni degli elementi essenziali, il pignoramento stesso è nullo.

 

Pignoramento speciale dei crediti presso terzi ex articolo 72 bis del d.p.r. n. 602/73 da parte dell’Agente della riscossione

Non trattasi di un atto sindacabile dalle Commissione Tributarie, poiché la giurisdizione delle Commissioni tributarie si arresta di fronte agli “atti dell’esecuzione forzata tributaria” ( sentenza n. 11082 dell’8 maggio 2007 dep. il 15 maggio 2007 della Corte Cass. SS.UU. Civ).

Deve dichiararsi l’inammissibilità dell’impugnazione del pignoramento presso terzi promossa avanti al giudice tributario in quanto tale atto non è contemplato fra quelli devoluti alla cognizione del giudice speciale (Sent. n. 256 del 7 giugno 2010 della C.t.p. di Milano, Sez. III ). Peraltro ,anche la C.t.p. di Treviso con la sentenza n. 23/07/09, depositata il 4 marzo 2009, ha deciso che è impugnabile in Commissione tributaria l’ordine di pagamento di cui all’articolo 72-bis del D.P.R. n. 602 del 1973 (pignoramento speciale dei crediti presso terzi) in quanto tale atto non rientra fra quelli di esecuzione forzata esclusi dalla giurisdizione tributaria ai sensi dell’articolo 2 del D.Lgs. n. 546 del 1992.

La Commissione ha ritenuto irrilevante la circostanza che l’ordine di pagamento in esame non sia elencato nell’articolo 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992 tra gli atti impugnabili davanti al giudice tributario.

Secondo una precisa ricostruzione occorre qualificare l’ordine del concessionario al terzo(es. banca) come provvedimento amministrativo disposto in attuazione di una potestà amministrativa, in considerazione della inutile scadenza del termine previsto dall’articolo 50 del D.p.r. n. 602/73.

L’atto di pignoramento di crediti verso terzi ovvero di somme la cui titolarità è del contribuente iscritto a ruolo, ex articolo 72 bis del D.p.r. n. 602/73, va qualificato non come atto funzionale all’espropriazione forzata (e quindi mezzo di realizzazione del credito), ma come provvedimento amministrativo (rectius: ordine prescrittivo), in funzione dell’interesse pubblico sotteso alla soddisfazione del credito tributario, attribuito al concessionario della riscossione che, sotto tale profilo, è esercente privato di pubblica funzione (Consiglio di Stato ordinanza del 13 aprile 2006 e ordinanza del 18 luglio 2006).

Trattasi di un ordine cioè di un comando con obbligo di fare ovvero con sostanza conformativa (pagare direttamente all’Agente della riscossione fino alla concorrenza del credito nel termine di quindici giorni dalla notifica del cd. atto di pignoramento di crediti verso terzi).

L’esegesi più attenta alle implicazioni sistematiche dell’istituto in parola appare quella volta a qualificare l’ordine del concessionario al terzo (i.e. banca, poste) come provvedimento amministrativo. Anche l’interpretazione sistematica, comunque, porta a concludere per la natura provvedimentale dell’atto de quo. Questo avviene in virtù della considerazione della invasività del provvedimento che incide sulla libertà di circolazione dei crediti del debitore (contribuente) in maniera unilaterale ed imperativa non essendo ravvisabile un rapporto paritetico tra creditore (erario) e debitore (contribuente).

Effettivamente il potere de quo è funzionale e strumentale al soddisfacimento dell’interesse pubblico. L’imperatività del provvedimento è definita come quella particolare forza del provvedimento in virtù della quale le modificazioni nella sfera giuridica del destinatario non ha bisogno della collaborazione di quest’ultimo. Insomma, è la P.A. a fissare unilateralmente l’assetto di interessi che è imposto al privato.

L’esecutorietà viene definita dall’art. 21-ter della l. 241/90 come la possibilità per le P.A. nei casi stabiliti dalla legge, di imporre coattivamente l’adempimento degli obblighi nei loro confronti.

Il provvedimento de quo si estrinseca nell’emanazione di un atto unilaterale idoneo ad incidere in modo autoritativo nella sfera giuridico-patrimoniale del destinatario (contribuente). Trattasi di un atto amministrativo che va motivato ai sensi della legge sul procedimento amministrativo L’atto de quo, dotato di autonoma rilevanza, è soggetto ai vizi tipici degli atti amministrativi. Con ovvie conseguenze. Così sarà illegittimo, e quindi annullabile, l’atto privo di firma del concessionario, quello adottato da autorità incompetente, quello contraddittorio o illogico ecc.. E’ quindi autonomamente impugnabile innanzi al Tar.

E’ da ritenere ammissibile, la richiesta al TAR della tutela cautelare ex articolo 21 della legge n. 1034/1971 del provvedimento de quo; ovviamente tale richiesta potrà essere proposta solamente dal cliente della banca, in quanto titolare della posizione giuridica violata.

L’ordine illegittimo (rectius: illecito) permette al contribuente l’esperimento di un’eventuale azione civile innanzi al tar volta ad ottenere il risarcimento del danno. Secondo diversa ricostruzione si deve ritenere ammissibile la richiesta al Giudice ordinario (diritto al risparmio, diritto alla riservatezza) di un provvedimento cautelare sospensivo dell’ordine de quo ai sensi dell’articolo 700 c.p.c.; ovviamente tale richiesta potrà essere proposta solamente dal cliente della banca, in quanto titolare del diritto soggettivo violato.

Secondo tale ultimo ricostruzione, si rende possibile una domanda successiva risarcitoria innanzi al go per l’illecito extracontrattuale, cagionato dal concessionario al contribuente (si pensi alla richiesta che esorbiti i limiti di normalità e ragionevolezza in quanto il credito del fisco è prescritto, il contribuente ha condonato, sussiste una sentenza passata in giudicato di annullamento della cartella).

L’ordinanza n. 393 del 28 novembre 2008 della Consulta, affrontando la questione della legittimità costituzionale dell’articolo 72-bis del decreto sulla riscossione delle imposte sul reddito (D.p.r. 602/1973), secondo cui l’atto di pignoramento dei crediti del debitore verso terzi può contenere, al posto della citazione a comparire davanti al giudice prevista dall’articolo 543 del Codice di procedura civile (secondo comma, numero 4), l’ordine al terzo di pagare il credito direttamente al concessionario, fino a concorrenza del credito ,ha statuito che non trattasi per il giudice delle leggi di un atto amministrativo autonomamente impugnabile innanzi al Tar (e non è praticabile la tutela cautelare ex articolo 21 della legge n. 1034/1971 avverso l’ordine di pagamento all’Agente della riscossione).

Secondo altra ricostruzione il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57, che disciplina l’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi, in materia di riscossione coattiva, al comma 1 stabilisce: “Non sono ammesse: a) le opposizioni regolate dall’art. 615 cpc. fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni;b) le opposizioni regolate dall’art. 617cpc., relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo”. Pertanto, tutte le contestazioni relative al diritto a procedere alla esecuzione forzata (salvo che si eccepisca l’impignorabilità dei beni) e le opposizioni relative alla regolarità formale del titolo esecutivo, non appartengono alla esecuzione.

La scelta legislativa appare coerente con il sistema nel quale il giudizio di cognizione assorbe tutta la materia relativa alla legittimità formale e sostanziale degli atti di imposizione, “arrestandosi unicamente di fronte agli atti dell’esecuzione” (Cass. 23832/2007).

La ratio dell’esclusione delle opposizioni di cui agli articolo 615 e 617 del c.p.c. è quella di evitare che, attraverso l’opposizione all’esecuzione dinanzi al GO, il contribuente eluda la riserva di giurisdizione del giudice tributario e il termine perentorio di impugnativa (60 giorni dalla notifica della cartella); la portata precettiva dell’articolo 57 del dpr citato trova la sua logica nella sussistenza della giurisdizione delle CT in tema di regolarità e notifica del titolo esecutivo dell’agente della riscossione; le opposizioni alla pignorabilità dei beni e le opposizioni aventi ad oggetto l’irregolarità degli atti esecutivi successivi alla notifica del titolo si propongono innanzi al giudice ordinario dell’esecuzione.

In definitiva, l’articolo 57 citato contempla le sole deroghe, al codice di procedura civile, strettamente funzionali al mantenimento della riserva di giurisdizione delle CT.

Il contribuente può proporre opposizione agli atti esecutivi (i.e. all’ordine di pagamento del terzo all’Agente della riscossione) innanzi al GO, tranne che per vizi di forma (i.e. vizio di motivazione della cartella) e di notificazione del titolo esecutivo (ruolo), entro il termine perentorio di 20 giorni ex articolo 617 del c.p.c. dalla notifica dell’ordine di pagamento.

Non è possibile configurare, de iure condito, l’opposizione agli atti esecutivi (i.e. all’ordine di pagamento del terzo all’Agente della riscossione ) per contestare l’irregolarità formale del titolo esecutivo (i.e. da luogo ad un’opposizione, relativa alla regolarità formale del titolo esecutivo ossia al difetto originario del titolo esecutivo, quella con cui si deduce che il ruolo non è stato reso esecutivo ex D.p.r. 602/73).

L’irregolarità formale deve essere dedotta innanzi alla CT, nel termine di 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento e non nel termine di 20 giorni dalla notificazione al debitore dell’atto esecutivo come l’ordine al terzo di pagamento all’Agente della riscossione

L’opposizione all’esecuzione, ex articolo 57 citato, investe l’an dell’azione esecutiva solo, quando è posta in discussione la legittimità del “pignoramento” del conto corrente del debitore esecutato, mentre l’opposizione agli atti esecutivi, ex articolo 57 citato, attiene al quomodo del procedimento, investendo la legittimità dello svolgimento dell’azione esecutiva attraverso il processo ma non la regolarità formale e la notifica del titolo esecutivo (ruolo).

Con l’opposizione all’esecuzione per impignorabilità del conto corrente del debitore esecutato s’instaura un processo di “cognizione”, ma l’oggetto di detta cognizione non può essere la res litigiosa (credito erariale), precisata dal titolo esecutivo, ma può essere la non idoneità dell’esecuzione forzata del concessionario (rectius: dell’ordine del pagamento all’agente della riscossione) ad incidere su un bene non pignorabile (si pensi ad un caso di omonimia tra debitore esecutato ed un altro e reale contribuente); si accerta con l’opposizione, in tal caso, l’insussistenza del diritto del creditore a soddisfarsi su beni non pignorabili nei confronti del debitore esecutato.

Se è proposta opposizione dal debitore esecutato all’esecuzione o agli atti esecutivi il tribunale fissa l’udienza di comparazione delle parti avanti a sé con decreto steso in calce al ricorso ordinando al concessionario di depositare in cancelleria cinque giorni prima dell’udienza l’estratto del ruolo e copia di tutti gli atti di esecuzione. Il giudice dell’esecuzione fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti e il termine perentorio per la notifica del ricorso (col pedissequo decreto) alla controparte.

L’articolo 60 del D.p.r. 602/73 subordina la sospensione dell’esecuzione dell’esattore alla presenza di gravi motivi e di un fondato pericolo di grave e irreparabile danno, cioè alla sussistenza di requisiti rigorosi. Sotto il profilo dell’integrità patrimoniale sussiste la possibilità di chiunque si ritenga leso dall’esecuzione di agire, dopo il compimento dell’esecuzione, contro il concessionario, per chiedere, ex articolo 59 del D.p.r. 602/73, nei confronti del concessionario il risarcimento del danno subito (si pensi alla banca che in qualità di terzo paghi per un debito ormai estinto del debitore esecutato, per essere intervenuta, per esempio, una sentenza favorevole al contribuente non tempestivamente seguita dallo sgravio).

 

21 aprile 2011

Antonio Terlizzi

 

C.t.p. Catania, sez. VI, sentenza 15 febbraio 2011, n. 176

Fatto

Con ricorso RGNR n. […] C.V. rappresentato e difeso come in atti, impugnava il provvedimento di pignoramento presso terzi, disposto dall’agente della riscossione notificato in data 08.07.2010.

Eccepiva in ricorso:

1. la mancata o invalida notifica delle cartelle di pagamento presupposta al pignoramento impugnato;

2. l’assoluta carenza di motivazione dell’atto esecutivo stesso nel quale viene omesso qualunque riferimento alla causale del credito;

3. la mancata indicazione del responsabile del procedimento;

4. la insussistenza del debito riferito alle presupposte cartelle di pagamento n. […] e n. […], recanti le imposte derivante dalla liquidazione della dichiarazione dei redditi presentata rispettivamente per gli anni 2002 e 2003.

Ha, quindi, chiesto che venga dichiarato nullo il pignoramento impugnato, nonché dichiarata l’intervenuta decadenza della pretesa di imposta relativa alle suddette cartelle esattoriale n. […] e n. […]. quale conseguenza della omessa notificazione entro il termine di legge delle cartelle stesse.

Si è costituita l’Agenzia delle Entrate con controdeduzioni presentate il 29/10/10, la quale ha sostanzialmente chiesto il rigetto del ricorso perché l’atto opposto non rientra tra gli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario,elencati nell’art. 19 d.lg. n. 546/1992, nonché per mancanza di legittimazione processuale a resistere in capo all’agenzia stessa.

Non si è costituito, quantunque regolarmente citato, l’Agente della riscossione Serit Sicilia Spa.

All’odierna udienza la Commissione sentite le parti, dopo aver accolto la richiesta di sospensione all’udienza del 19/11/2010, poneva in decisione il ricorso.

Diritto

Il ricorso è accolto.

Va preliminarmente affermata la giurisdizione e la competenza di questa Commissione, stante che ai sensi dell’art. 2 del D.lg. n. 546/1992, restano escluse dalla giurisdizione tributaria le controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata successivi alla notifica della cartella di pagamento.

Nella fattispecie, poiché il ricorrente lamenta proprio la mancata notifica di detta cartella, trova applicazione l’art. 19 comma 3 stesso d.lg., secondo cui la mancata notificazione di atti impugnabili adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo.

È noto, a riguardo, l’insegnamento della Suprema Corte la quale ha statuito che in tema di contenzioso tributario “l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del D.lg. n. 546/1992 va interpretata in senso estensivo sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della p.a. che in conseguenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la l. n. 448/ del 2001” (Cass. Civ. 25/02/2009 n. 4513).

Il predetto principio di diritto corrisponde, peraltro, alla ragionevolezza del sistema normativo, in quanto diversamente opinando si priverebbe il contribuente della tutela della giurisdizione tributaria nei casi di omissione o irregolare notificazione della cartella di pagamento.

Ciò, in quanto l’art. 57 del dp.r. n. 602 del 1973, stabilisce (ma solo per le entrate aventi carattere tributario) che non sono ammesse dinanzi al giudice ordinario (dell’esecuzione) le opposizioni relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo.

Inammissibilità che non sussiste, invece, per le entrate non aventi carattere tributario giusta il disposto dell’art. 29 D.lg. n. 46/1999 (dal titolo appunto “Garanzie giurisdizionali per le entrate non devolute alle Commissioni tributarie”), secondo cui alle dette entrate “non si applica la disposizione del comma dell’art. 57 del d.p.r. 29/09/1973 n. 602 (Conforme: Cass. Civ. Sez. Unite 12/06/2009 n. 10849).

Sicché, inequivocabilmente si deduce che, ove in assenza di omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento (relativa a credito di imposta), il contribuente venisse privato della possibilità dinanzi al giudice tributario il successivo atto esecutivo promosso dall’esattore per vizi relativi alla regolarità formale e alla notificazione del titolo esecutivo (costituito dalla cartella stessa), non potendo per tali vizi adire il giudice ordinario l’esecutato rimarrebbe privato di ogni garanzia giurisdizionale.

Ciò che è in costituzionalmente incongruo.

Si richiamano, a riguardo, le statuizioni della Corte Costituzionale, che ribadiscono la necessità di interpretazione costituzionalmente adeguata della disciplina processuale tributaria (sent. n. 255/2010, ord. 217/2010).

Nel merito, osserva il Collegio che l’atto impugnato è privo di due elementi essenziali la specifica dei motivi di credito e l’indicazione del tipo di documento in forza del quale viene promossa l’azione esattoriale.

Ciò, in violazione dell’art. 7 l. n. 27/7/2000 n. 212, dell’art. 3 l. 7/08/1990 n. 241 e dell’art. 543 c.p.c. Osserva altresì il Collegio che, come da estratti ruolo prodotti dal ricorrente, nell’atto di pignoramento opposto è compresa la pretesa per tributi derivanti (ex art. 36 bis d.p.r. n. 602/1973 e 54 bis d.p.r. n. 633/1972) della dichiarazione annuale dei redditi presentata con mod. Unico per gli anni 2002 e 2005, il cui termine decadenziale previsto per la notifica delle relative cartelle (n.) è scaduto rispettivamente il 31/12/2004 (ai sensi dell’art. 36 lett. a) d. lg. n. 46/1999) e il 31/12/2009 ai sensi dell’art. 25 d.p.r. n. 602/1973.

Tali risultanze non vengono contrastate nell’atto di costituzione dell’Agenzie delle Entrate. Allo stesso modo nulla viene contro dedotto, sia dall’Agenzia che dalla Serit Sicilia Spa (che non si è costituita in giudizio), in ordine alla eccezione del ricorrente circa la omessa notificazione della cartelle di pagamento prodromiche all’atto impugnate.

Ne deriva, in conclusione, che la procedura avviata dalla Serit Sicilia è del tutto illegittima per mancata notifica delle cartelle esattoriali presupposte all’atto di pignoramento impugnato, ai sensi dell’art. 50 d.p.r. n. 602/1973, è altresì nullo il pignoramento stesso per mancanza degli elementi essenziali, e non sussiste il debito recato dalle cartelle di pagamento n. […] e n. […] per maturata decadenza ex art. 36 d.lg. n. 46/1999 e art. 25 d.p.r. n. 602/1973.

P.Q.M.

La Commissione accoglie il ricorso e annulla l’impugnato pignoramento presso terzi, nonché i crediti di imposta iscritti a ruolo con le cartelle di pagamento n. […] e n. […] Spese compensate.

 

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