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Più che la fine del Ramadan, Pioltello ha festeggiato il superbonus. Se infatti quello della scuola chiusa per “motivi religiosi” era in fin dei conti un falso problema (buona parte degli studenti dell’Iqbal Masih è musulmano, di qui la scelta pragmatica del giorno di vacanza), il 110% ha rappresentato una soluzione vera al degrado che corrodeva una buona fetta della popolosa cittadina alle porte di Milano, dove il 26,3% degli abitanti (9.840 su 27.576, di cui 2.449 minori) è di origine straniera. Da qualche mese il famigerato Satellite, dove i migranti sono in netta maggioranza (in alcuni palazzi le famiglie italiane sono 2 su 24) non è più un mondo a parte: grazie alla maxi ristrutturazione pagata dallo Stato si è trasformato in un quartiere (quasi) normale.

«Non c’è posto dove il superbonus sia stato attuato meglio – spiega la sindaca Ivonne Cosciotti, al secondo mandato con una lista civica di centrosinistra -. Il Satellite resta un quartiere difficile, ma è non più quello di 8 anni fa, quando su 2mila appartamenti ben mille erano finiti all’asta. Con la riqualificazione le cose sono cambiate: le case non sono più in vendita a 20mila euro ma a 100mila, e questo tiene alla larga gli investimenti mafiosi o degli stessi stranieri che si arricchivano con gli affitti abusivi».

A Pioltello, primo approdo per gente di ogni dove («Qui vivono persone di 106 nazioni: europei dell’est, africani, asiatici, sudamericani, persino una persona che viene dal Polo Nord» sottolinea Cosciotti), la casa è una priorità per chi arriva e fonte di business (in nero) per chi c’era già. «L’alto numero di aste deriva dai mutui concessi allegramente negli anni Duemila – spiega la sindaca –, molti non hanno mai pagato le rate, andandosene all’estero con la somma della banca e affittando l’abitazione a 500 euro al mese a persona. Ora il fenomeno si è molto ridotto, il restyling è partito perché c’era un progetto serio, che abbiamo portato avanti con la prefettura». Il superbonus ha funzionato, gli edifici non sono più fatiscenti. C’è persino la bacheca digitale di condominio. Dietro le facciate rifatte, però, i problemi (e l’illegalità) restano. «Ci sono ancora molte famiglie che dividono la casa per sopportare le spese: si arriva anche a 800 euro al mese per un bilocale – spiega una residente bengalese –. Ho visto camere con un lenzuolo in mezzo a fare da separé. E poi c’è chi affitta posti letto a due persone: chi lavora di giorno ci dorme di notte, e viceversa…».

I guai di oggi sono figli degli errori (e delle speculazioni) di ieri. «Il Satellite doveva essere come San Felice o il quartiere Edilnord di Brugherio, cioè zone residenziali di pregio per chi negli anni ’70 veniva a lavorare a Milano. Solo che poi si è deciso di costruire altre torri al posto di parco e laghetto. Così tutto è degenerato fin da subito, anche perché molte ditte sono fallite e hanno liquidato i muratori arrivati dal Sud con le abitazioni costruite da loro stessi» spiega don Luigi Consonni, prete operaio che dopo la pensione ha scelto Pioltello come terra di missione. Da quartiere salotto a ghetto, il passo è stato fin troppo breve. «L’ondata migratoria di questi anni ha sostituito quella meridionale. Ma se una volta qui arrivavano operai per le fabbriche metalmeccaniche, adesso gli stranieri sono impiegati nella logistica e nelle cooperative che lavorano per la grande distribuzione. Pioltello resta un luogo di passaggio, comodo perché è attraversato dalla ferrovia Milano-Bergamo, ma la verità è che da qui è difficile andarsene. Con stipendi che a volte non superano i mille euro è dura per tutti. Le famiglie non hanno i soldi per far proseguire gli studi ai figli, e i ragazzi faticano a trovare un impiego. Così capita che qualcuno finisca a spacciare o a rubare».

Guai pensare però che il Satellite sia il Bronx. O almeno non lo è più. Merito anche di persone come don Luigi – che tra i casermoni aprì la prima scuola d’italiano per stranieri e il doposcuola – e dei volontari come Francesca Cirillo, vicepresidente di Relazioni, l’associazione di quartiere che favorisce l’integrazione dal basso, a piccoli passi. «Siamo partiti nel 2012 ascoltando i bisogni dei residenti – spiega la 34enne, in tasca una laurea in servizi sociali alla Cattolica, con tesi proprio sul Satellite -. Ci siamo rivolti in primis alle donne, che quando arrivano si ritrovano molto isolate. Abbiamo proposto dei corsi pratici, per farle stare insieme e abituarle alla nostra lingua: bigiotteria e corsi di cucina. Magari il figlio mangiava il risotto giallo a scuola e poi lo chiedeva anche alla mamma: così noi abbiamo insegnato le nostre ricette e loro hanno fatto altrettanto con noi. Poi abbiamo avviato una vera scuola di italiano, curata da ex insegnanti, e un corso di bici. Sembrerà banale, ma molte non l’avevano mai usata. Ora per molte è un mezzo con cui spostarsi in modo autonomo, per andare a fare spese ma anche per recarsi al lavoro». Un’emancipazione a pedali che ha migliorato l’integrazione. «Molte sono mamme e si guardano attorno: quello che accade nel quartiere le preoccupa, non vogliono che anche i loro figli finiscano a spacciare». L’opera di “Relazioni” ha coinvolto via via sempre più donne, grazie anche all’apertura dello spazio bimbi: nella sede di via Wagner sono passate più di 400 migranti appartenenti a 25 nazionalità diverse.

Se il Satellite sta faticosamente uscendo dal suo lato oscuro, a Pioltello resta però un altro buco nero, giusto di fronte alla stazione della frazione Limito. «Al Satellite c’è chi vende droga in strada, ma non più che altrove. La vera piazza di spaccio è piazza Garibaldi» fa notare la sindaca Cosciotti. Visto da vicino, il vecchio caseggiato sembra un fortino assediato dalla miseria. Divani abbandonati, stendibiancheria in strada, sacchi dell’immondizia sparsi. Sui balconi, coperti da tende improvvisate di ogni stoffa e colore, spunta una selva di parabole che intercetta i programmi tv marocchini ed egiziani. Qualcuno si affaccia e scruta la strada, mentre un ragazzino in monopattino spunta dal cortile per dare un’occhiata da vicino agli estranei che indugiano qualche secondo di troppo.

«Qui ormai non si può più stare – dice Ahmed, italo-marocchino 64enne -. Sono arrivato 40 anni fa, passando dalla Francia con visto turistico, ho la cittadinanza dal 2014. Vivo a Pioltello da tempo, ma prima non era così. Di sera è un disastro: c’è chi spaccia, beve e sporca ovunque. Mi trasferirò a Melzo: ho tre figli e non voglio che diventino dei delinquenti. I carabinieri passano spesso, ma possono fare poco. Arrestano uno la sera e al mattino è già libero…». Un luogo comune, se non fosse espresso da un migrante ante litteram. «Quando sono arrivato ho fatto il vu’ cumprà a Roma, poi sono salito al Nord e ho trovato posto in una ditta che montava scenografie negli studi tv. Grazie a Dio e a voi italiani, ho sempre lavorato. Ma tanti di quelli che ora arrivano via mare si comportano diversamente. Speriamo che qualcuno faccia qualcosa…».

La stazione è un via vai di giovani che vagano senza meta apparente. Uno entra nel bar e si avvicina al frigo. La titolare lo tiene d’occhio e intanto chiacchiera con una donna senegalese che le mostra le foto dei parenti africani sullo smartphone. «In piazza Garibaldi abitano 300 famiglie, e per fortuna tra loro ci sono ancora brave persone – osserva la sindaca Cosciotti –. Rispetto al Satellite è uno scenario molto più piccolo e non ci sono le condizioni per una riqualificazione. Quindi proveremo a spostare altrove chi è in regola». All’orizzonte c’è la demolizione, come successo in altre periferie difficili (Zingonia, vicino a Bergamo, e Begato, a Genova). In alcuni casi sembra essere l’unico modo per ricostruire la legalità.

 

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