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A parere del Tribunale salernitano si è reso necessario il rinvio pregiudiziale, ex art. 363bis c.p.c., alla Corte di Cassazione, in ordine alla questione di diritto avente a oggetto l’interpretazione delle conseguenze giuridiche derivanti dalla omessa indicazione, all’interno di un contratto di mutuo bancario, del regime di capitalizzazione “composto” degli interessi debitori, pure a fronte della previsione per iscritto del Tasso Annuo Nominale (T.A.N.), nonché della modalità di ammortamento c.d. “alla francese”, ovverosia se tale carenza di espressa previsione negoziale possa comportare gli estremi della indeterminatezza e/o indeterminabilità del relativo oggetto, con conseguente nullità strutturale in forza del combinato disposto degli artt. 1346 e 1418, comma 2, c.c., nonché la violazione delle norme in materia di trasparenza e, segnatamente, di quella di cui all’articolo 117, comma 4, TUB, che impone, a pena di nullità (successivo comma quarto) che «I contratti indicano il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora», con conseguente rideterminazione del piano di ammortamento applicando il tasso sostitutivo BOT, ex art. 117, comma 7, TUB.

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  1. Le necessarie «gravi difficoltà intepretative»: la tesi dell’assenza di conseguenze in punto di determinatezza e/o determinabilità dell’oggetto contrattuale.

Per quanto riguarda il problema delle conseguenze derivanti dalla mancata indicazione della modalità di ammortamento c.d. “alla francese” del contratto di mutuo (ovverosia, della modalità con cui vengono a essere composte le singole rate del prestito in relazione al rapporto tra capitale ed interessi), può essere ipotizzata una prima interpretazione, per cui da tale omessa indicazione non deriverebbero conseguenze di sorta né in punto di determinatezza e/o determinabilità dell’oggetto del contratto, né, tantomeno, con riguardo alla trasparenza bancaria “sub specie” di mancata indicazione, a norma del quarto comma dell’articolo 117 TUB, del tasso di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati. Difatti, da una parte, ogni qual volta il piano di ammortamento risulti essere stato allegato al contratto di mutuo e consegnato al cliente/mutuatario, potrebbe ritenersi che questi possa evincere comunque la modalità di ammortamento (e, dunque, la composizione delle singole rate in cui viene frazionata nel tempo l’obbligazione restitutoria), anche attesa la natura negoziale del piano di ammortamento che, dunque, fa parte del regolamento contrattuale[1]. Dall’altra parte, avuto riguardo al rispetto della trasparenza bancaria, potrebbe ritenersi che la mancata indicazione della modalità di ammortamento non possa risultare pregiudizievole per il cliente in termini di “prezzo” e “condizioni praticati” a norma dell’art. 117, comma 4, TUB, riguardando esclusivamente la composizione delle singole rate, e costituendo il piano di ammortamento e la relativa strutturazione (ad esempio, “alla francese”), la logica e naturale applicazione di quanto contrattualmente pattuito nelle condizioni economiche redatte per iscritto nel corpo del contratto e, dunque, conosciute e conoscibili “ex ante” dal cliente.

 

  1. (segue): la tesi dell’invalidità del contratto.

In senso del tutto antitetico, a tale impostazione, si può contrapporre una seconda ricostruzione ermeneutica, per cui la mancata indicazione della modalità di ammortamento del prestito incide in termini di validità del contratto di mutuo bancario, poiché la determinatezza/determinabilità della stessa, ancorché astrattamente evincibile dalla lettura del piano di ammortamento e dalle singole clausole recanti le condizioni economiche (purché comprensibili), e in grado di prevedere e descrivere “ex ante” il criterio per determinare con esattezza e in modo univoco gli importi che da essa discenderanno, risulta una soluzione difficilmente praticabile in concreto. Difatti, nell’ambito dei rapporti bancari il cliente è normalmente privo del necessario bagaglio di conoscenze tecniche indispensabili per comprendere la reale portata economica delle singole clausole che va a sottoscrivere, stante l’elevato tasso di tecnicismo della materia, connotata dall’irrinunciabile ricorso a formule matematico-finanziarie, di talché la determinatezza e/o determinabilità dell’oggetto potrebbero restare solo in astratto, oltre a esservi un’ontologica disparità di forza contrattuale tra clienti, asseritamente contraenti deboli, e gli Istituti di credito, che, per converso, predispongono i contratti secondo lo schema dei moduli e dei formulari per adesione, ex artt. 1341 e 1342 c.c., e, dall’altro lato, che costituisce obbligo ex lege per le Banche quello di rendere i clienti edotti, in modo chiaro e comprensibile, di quelli che sono il tasso di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati (sì da mettere gli stessi in condizione di determinarsi consapevolmente circa le loro scelte contrattuali e di comprendere pienamente la portata, giuridica e, soprattutto economica, delle loro decisioni).

In questa prospettiva, la mancata indicazione della modalità di ammortamento c.d. “alla francese” non sarebbe priva di conseguenze, ancorché a essa si potrebbe, se del caso, risalire grazie a una attenta lettura delle singole clausole contrattuali o dello stesso piano di ammortamento. Infatti, la modalità di ammortamento c.d. “alla francese”[2], specie in relazione all’applicazione del regime di capitalizzazione “composto” degli interessi debitori, può determinare un significativo incremento del costo complessivo del denaro preso a prestito per il cliente, specialmente allorquando vengano a essere corrisposti dapprima gli interessi (capitalizzati in modo “composto”) e poi la sorta capitale; di talché, anche la modalità di ammortamento c.d. “alla francese” costituirebbe un “prezzo”, un “costo”, che va esplicitato chiaramente all’interno del contratto bancario, in ossequio al disposto del quarto comma dell’articolo 117 TUB.

 

  1. Le conseguenze della mancata indicazione del regime di capitalizzazione composta.

Con precipuo riferimento al diverso problema delle conseguenze derivanti dalla mancata indicazione del regime di capitalizzazione composta nel contratto di mutuo, questo non concerne le modalità con cui vengono composte le singole rate nel rapporto tra sorta capitale e interessi (proprio del tipo di ammortamento), bensì come vadano rimborsati gli interessi, quali frutti civili del denaro ex art. 820 c.c., atteso che nel regime di capitalizzazione semplice gli interessi non producono a loro volta interessi e si sommano semplicemente progressivamente al capitale iniziale, con il “montante” che è proporzionale al tempo, cioè alla durata di applicazione del tasso; per contro, nel regime di capitalizzazione composto l’interesse prodotto in ogni periodo si somma al capitale e produce a sua volta interessi, per cui il “montante” è calcolato con una formula dove il tempo è posto in esponente (esponente che manca, invece, nella capitalizzazione semplice).

Dunque, nella capitalizzazione “semplice” gli interessi non vengono mai moltiplicati per sé stessi, al contrario di quanto accade ove vi sia la capitalizzazione “composta”, con evidente maggiore onerosità di quest’ultimo regime di capitalizzazione. In tal senso si è espressa, la Prima Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione[3], ancorché in ordine alla tematica del divieto di anatocismo, che implica comunque la produzione di interessi su interessi, secondo cui: «Ora, pur rimanendo nei limiti del tasso – soglia, le conseguenze economiche sono diverse a seconda che sulla somma capitale si applichino gli interessi semplici o quelli composti. È stato, infatti, osservato che, una somma di denaro concessa a mutuo al tasso annuo del cinque per cento si raddoppia in venti anni, mentre con la capitalizzazione degli interessi la stessa somma si raddoppia in circa quattordici anni”).».

 

  1. La prima soluzione interpretativa: la mancata indicazione non implica invalidità contrattuale.

Fatta questa premessa, si potrebbe ipotizzare una prima soluzione interpretativa in base alla quale la mancata indicazione espressa del regime di capitalizzazione “composto” (anziché “semplice”, che è quella che normalmente e fisiologicamente riguarda gli interessi debitori) non comporterebbe alcuna conseguenza circa la validità del contratto di mutuo in punto di determinatezza e/o determinabilità degli interessi passivi ultralegali ai sensi dell’articolo 1284 c.c. e del rispetto della trasparenza bancaria ex art. 117 TUB, atteso che, anche in questo caso, il cliente potrebbe pur sempre evincere il regime di capitalizzazione grazie alla lettura delle condizioni contrattuali ed economiche pattuite.

In questo senso parrebbe deporre, sia pure con riguardo alla differente problematica della determinatezza e/o determinabilità del tasso degli interessi passivi, anche un pronunciamento della Terza Sezione Civile[4], per cui «Ciò che importa, onde ritenere sussistente il requisito della determinabilità dell’oggetto del contratto di cui all’art. 1346 cod. civ. (rispetto al quale l’art. 1284 cod. civ. contiene l’ulteriore previsione dell’onere di forma per la convenzione di interessi superiori alla misura legale) è che il tasso d’interesse sia desumibile dal contratto, senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità in capo all’istituto mutuante, anche quando individuato per relationem. In quest’ultimo caso, mediante rinvio a dati che siano conoscibili a priori (cfr. già Cass. n. 2765/92 e n. 7547/92 cit. in ricorso, nonché Cass. n. 22898/05, n. 2317/07, n. 17679/09, tra le più recenti) e siano dettati per eseguire un calcolo matematico il cui criterio risulti con esattezza dallo stesso contratto. I dati ed il criterio di calcolo devono perciò essere facilmente individuabili in base a quanto previsto dalla clausola contrattuale, mentre non rilevano la difficoltà del calcolo che va fatto per pervenire al risultato finale né la perizia richiesta per la sua esecuzione.».

Potrebbe, inoltre, obiettarsi che non avrebbe alcun senso ragionare in termine di indicazione espressa oppure no di un regime di capitalizzazione “composto” piuttosto che “semplice”, atteso che questa dicotomia ha senso solo in astratto, ma non anche allorquando il cliente abbia sottoscritto un contratto in cui il regime di capitalizzazione è stato pattuito con la modalità “composta”, come potrebbe evincersi sulla base delle singole condizioni economiche pattiziamente previste e dal piano di ammortamento. Vale a dire che una diversa ricostruzione che considerasse il confronto con la capitalizzazione “semplice” degli interessi debitori assumerebbe erroneamente quale parametro di riferimento una differente tipologia di regolamento negoziale, quella appunto in cui la capitalizzazione è “semplice”, che non è stata però scelta in concreto dalle parti e da esse sottoscritta. Infine, potrebbe obiettarsi che la Banca non sarebbe tenuta ad esplicitare la formula di matematica finanziaria sottesa di calcolo degli interessi, in quanto tale informazione sarebbe implicita nel piano di ammortamento e sarebbe desumibile dal T.A.N. e dal T.A.E. indicati in contratto.

 

  1. La seconda ricostruzione interpretativa: la necessità dell’indicazione del regime di capitalizzazione “composto” nel contratto di mutuo.

Seguendo un’altra ricostruzione ermeneutica, il regime di capitalizzazione “composto” degli interessi debitori andrebbe indefettibilmente indicato espressamente per iscritto nel contratto di mutuo bancario, atteso che tale modalità di capitalizzazione degli interessi, in cui cioè l’interesse, sommato alla sorta capitale, produce poi, a sua volta, interessi, pur non essendo di per sé vietata dall’ordinamento (artt. 1283 c.c. e 3 della Delibera C.I.C.R. del 09/2/2000), necessiterebbe, però, di un’espressa previsione per iscritto e di un’adeguata, corretta e trasparente informazione nei confronti del cliente/mutuatario, contraente debole.

Ciò in considerazione del fatto che, a ben vedere, oltre a essere stato dimostrato in matematica finanziaria che il regime di capitalizzazione “composto” implica una maggiore onerosità del costo del denaro preso a prestito dal mutuante (in quanto la produzione di interessi su interessi costituisce, di per sé, un maggior costo, ed inoltre, se si pagano solo le quote del capitale e tutti gli interessi in una volta sola alla fine di un lungo periodo), si sostiene un costo maggiore del piano di rimborso in capitalizzazione “composta” rispetto al piano in capitalizzazione “semplice”. In caso di adozione del piano di rimborso in regime di capitalizzazione “semplice”, invece, il pagamento degli interessi avviene contestualmente alla quota capitale di ciascuna rata, che, pertanto, viene pagata per intero, così come calcolata e riportata nel piano di ammortamento.

Tale premessa conduce, dunque, al risultato per cui la scelta di una determinata modalità di capitalizzazione degli interessi diversa da quella “semplice”, che costituisce il “modus” fisiologico di computo degli interessi ai sensi dell’art. 821, comma 3, c.c., costituisce per il cliente evidentemente un (ulteriore) “prezzo” del denaro mutuato, incidendo sul suo costo complessivo e, come tale, deve essere indicato nei contratti bancari per iscritto in modo chiaro, comprensibile ed inequivocabile. Ciò in ossequio al disposto di cui all’art. 117, comma 4, TUB, in forza del quale «I contratti indicano il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora.”. Inoltre, l’articolo 6 della Delibera C.I.C.R. del 09/2/2000, applicabile ai fatti di causa, rubricato “Trasparenza contrattuale”, ed applicabile a tutti i contratti relativi alle operazioni di esercizio del credito, tra cui rientrano certamente i contratti di mutuo, sancisce espressamente che “Le clausole relative alla capitalizzazione degli interessi non hanno effetto se non sono specificamente approvate per iscritto»; il che presuppone, evidentemente, che la clausola che prevede la capitalizzazione “composta” degli interessi passivi sia redatta in modo esplicito, onde poter essere poi oggetto di un’approvazione specifica e consapevole da parte del cliente. Con il risultato che la mancata esplicitazione nel contratto del regime di capitalizzazione adottato incide sul monte interessi e quindi sulla determinatezza del tasso; indeterminatezza del tasso che si traduce nella violazione del requisito della forma (pre)scritta “ad substantiam” sotto pena di nullità relativa (azionabile solo dal cliente e rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, ai sensi dell’art. 127, comma 2, TUB), ai sensi del prefato art. 117, comma 4, TUB.

Dunque, la modalità del regime di capitalizzazione rappresenta un “prezzo” del denaro nei contratti di prestito bancario e, come tale, deve essere indefettibilmente indicato per iscritto all’interno degli stessi; con la conseguenza che, in caso di inosservanza del disposto di cui al quarto comma dell’art. 117 TUB e relativa nullità parziale dovrebbero applicarsi, attraverso la previsione normativa di cui al sesto comma della succitata norma, il meccanismo sanzionatorio dei tassi sostitutivi BOT, di cui al successivo comma 7, con rideterminazione del piano di ammortamento[5].

La necessità che il regime di capitalizzazione “composto” sia chiaramente indicato ed esplicitato in contratto comporterebbe, dunque, che esso non possa in alcun modo ritenersi rispettato per il fatto che le condizioni economiche contenute nel contratto (es. differenza tra T.A.N. e T.A.E., con quest’ultimo indicato in misura maggiore del primo) oppure la composizione delle singole rate indicate all’interno del piano di ammortamento consentirebbero al cliente di verificare in concreto che è stata prevista, appunto, la capitalizzazione “composta”. Una siffatta soluzione interpretativa sarebbe insostenibile, in quanto presuppone che il cliente-mutuatario, di norma dotato di competenze tecniche in materia di matematica finanziaria elementari, se non inesistenti, sia in grado non solo di comprendere dalla strutturazione delle singole rate quale sia la modalità di capitalizzazione degli interessi all’interno di un contratto di mutuo, ma anche quale sia la relativa incidenza in termini economici sul costo complessivo del denaro mutuato. Ciò, peraltro, si risolverebbe in un vistoso capovolgimento degli obblighi in capo alle parti contrattuali, con l’Istituto di credito, tenuto secondo le regole del “bonus argentarius” e la normativa vigente, a rendere edotto il cliente di tutti i costi e prezzi dei contratti bancari, ivi compresa la modalità di capitalizzazione “composta” degli interessi, che altrimenti opinando sarebbe di fatto da ciò esonerato, e con il cliente che, invece, sprovvisto delle necessarie competenze tecniche, sarebbe tenuto a verificare quale sia il regime di capitalizzazione (“semplice” o “composto”) applicato nel contratto da stipulare, dovendolo desumere da sé in base ad altri elementi contrattuali, spesso equivoci e, comunque, di difficile comprensione per un soggetto dotato di un normale o talvolta inesistente bagaglio di conoscenze in materia di matematica finanziaria.

La seconda ragione che potrebbe indurre ad accogliere l’interpretazione più rigorosa di indicare esplicitamente e inequivocabilmente la modalità del regime di capitalizzazione “composta” del mutuo risiede nella necessità di assicurare il rispetto della trasparenza. A tal fine, si impone la necessità che nei contratti bancari vengano esplicitati tutti i criteri ed i termini che sono destinati ad incidere, in qualsiasi modo, sul corrispettivo pattuito. Infatti, in un’operazione di calcolo complessa, il “quantum”, isolatamente considerato, senza indicazione del “quomodo”, cioè delle modalità con cui deve essere determinato, non appare idoneo ad assolvere adeguatamente al compito di assicurare il grado di consapevolezza, nel cliente-mutuatario, di ciò che va a sottoscrivere e del relativo impegno economico.

Tale necessità ha trovato recente riscontro nella giurisprudenza unionale[6], che ha delimitato in modo netto e rigoroso in che termini possa ritenersi rispettato l’obbligo di trasparenza, di derivazione sovranazionale, nei rapporti di credito. Sia pure in ambito consumeristico, per la Corte di Lussemburgo, onde rispettare l’obbligo di trasparenza di cui alla Direttiva 93/13/CEE, una clausola che fissa un tasso d’interesse variabile contenuta in un contratto di mutuo ipotecario deve non solo essere intelligibile sui piani formale e grammaticale, ma anche consentire che un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, sia posto in grado di comprendere il funzionamento concreto della modalità di calcolo di tale tasso e di valutare in tal modo, sul fondamento di criteri precisi e intelligibili, le conseguenze economiche, potenzialmente significative, di una tale clausola sulle sue obbligazioni finanziarie. Ne consegue che i giudici nazionali sono sempre tenuti a verificare la chiarezza e comprensibilità di una pattuizione negoziale che incida sull’oggetto del contratto[7].

Da questo punto di vista, non pare potersi dubitare che una clausola che non indichi correttamente il TAEG difetti di chiarezza e, quindi, non consenta al consumatore di avere pienamente consapevolezza e conoscenza delle condizioni cui verrà eseguito il contratto. Allo stesso modo, dunque, il contratto di finanziamento che non contenga l’indicazione scritta ed esplicita del regime di capitalizzazione “composta” non rispetterebbe il principio di trasparenza, di derivazione anche sovranazionale, che deve animare i rapporti bancari, specie nella fase precontrattuale e della stipula del contratto.

In termini analoghi a quelli della giurisprudenza della CGUE si è espressa anche la giurisprudenza italiana, su questioni contigue. Con la sentenza n. 16907/2019, la Terza Sezione Civile ha sancito che «La formulazione di una clausola contrattuale d’indicizzazione contenuta in un contratto di leasing che non consenta di determinare ex ante il risultato economico della prestazione dovuta alla stregua della stessa è nulla, poiché deve ritenersi non determinabile l’oggetto del contratto, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1418 e 1346 c.c., non rilevando che, di fatto, ossia a una verifica ex post, lo scostamento tra le varie possibili soluzioni di calcolo consentite dalla formula contrattuale appaia ridotto.». Ancora più incisiva sulla rilevanza della trasparenza bancaria risulta essere la sentenza n. 12889/2021 della Terza Sezione Civile, che, in relazione a un’operazione di leasing, dopo avere rilevato l’operatività della trasparenza in senso economico, ha tratto quale conseguenza l’esistenza di un potere del Giudice di sindacare l’idoneità della trasparenza stessa a incidere sullo stesso equilibrio delle relazioni contrattuali, di talché l’opacità delle clausole può costituire un sintomo, una spia, di uno squilibrio censurabile giuridicamente.

In questo modo è possibile applicare, in caso di inosservanza della trasparenza bancaria, la sanzione della rideterminazione del piano di ammortamento con i tassi sostitutivi BOT, di cui all’art. 117, comma 7, TUB. La necessità di assicurare il rispetto della trasparenza, vera e propria stella polare dei rapporti bancari, dunque, ha portato la giurisprudenza sovranazionale e interna a sancire, in vari ambiti e tipologie di contratti con Istituti di credito, che, affinché la trasparenza sia effettivamente garantita e rispettata, occorre che di essa sia offerta in concreto un’interpretazione non già formale, che ne assicuri cioè l’osservanza sulla base del solo fatto che le condizioni economiche sono riportate per iscritto, “nero su bianco”, nei contratti, ma adottarne una sostanziale, che in una prospettiva funzionale di tutela del cliente (rispetto al quale la trasparenza costituisce un presidio), assicuri a quest’ultimo l’intellegibilità di quanto va a sottoscrivere e, soprattutto, dell’esatta portata ed incidenza economica delle ricadute del regolamento contrattuale che va a sottoscrivere[8].

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In esito al monografico percorso ricognitivo, il giudice campano ha ritenuto di dover disporre il rinvio pregiudiziale, ai sensi dell’art. 363bis c.p.c., alla Corte Suprema di Cassazione, per la risoluzione della questione di diritto:

«Dica la Corte di Cassazione se la mancata indicazione della modalità di ammortamento c.d. “alla francese” e/o del regime di capitalizzazione “composto” degli interessi passivi all’interno di un contratto di mutuo bancario stipulato nella vigenza del Decreto Legislativo n. 385 del 1993, anche per il caso in cui la modalità di ammortamento c.d. “alla francese” ed il regime di capitalizzazione “composto” siano desumibili dal cliente facendo ricorso al complesso delle condizioni N.R.G.A.C. 9120/2022 – Ordinanza contrattuali ed economiche pattuite (comprese quelle contenute nel piano di ammortamento allegato al contratto), integri oppure no un’ipotesi di nullità parziale del contratto di mutuo bancario ai sensi dell’articolo 117, comma 4, del D.Lgs. n. 385/1993, con le conseguenze di cui al comma 7 della succitata disposizione.».

Agli Ermellini l’ardua sentenza.  

 

 

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[1] Cfr. Cass. n. 23972/2010.

[2] Con la corresponsione di rate costanti in cui la quota parte degli interessi è progressivamente decrescente e quella della sorta capitale crescente, in cui vengono cioè ad essere corrisposti dapprima prevalentemente gli interessi e poi il capitale.

[3] Il riferimento è a Cass. n. 2374/1999.

[4] Il riferimento è a Cass. n. 25202/2014.

[5] Cfr. Trib. Bari, 04.11.2021; Trib. Vicenza, 22.02.2022.

[6] Il riferimento è a CGUE, 03.03.2020, C-125/18.

[7] In questo senso si è espressa di recente la Corte di Giustizia Europea, nella decisione del 20.09.2018, C-448/17, in relazione ad un caso in cui il TAEG era stato indicato contrattualmente mediante un’equazione matematica di calcolo, in un contratto regolato dalla disciplina di recepimento della Direttiva 87/102/CEE, ritenendo (sempre nella logica che permea la disciplina del credito al consumo di tutela del consumatore, finalità perseguita anche dalla suddetta Direttiva al fine di assicurargli di avere piena conoscenza delle condizioni di futura esecuzione del contratto) che viola l’articolo 4, paragrafo 2, della Direttiva 93/13/CEE, in quanto è priva di chiarezza, la clausola che non consente al consumatore di avere piena contezza delle condizioni della futura esecuzione del contratto sottoscritto, al momento della sua conclusione e, di conseguenza, di essere in possesso di tutti gli elementi idonei ad incidere sulla portata – specie economica – del suo impegno.

[8] Cfr. Cass. n. 23655/2021.

 

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