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COSENZA – Sarebbe stato lasciato oltre 30 ore senza assistenza. La sentenza è stata depositata venerdì. La famiglia del paziente, morto nel 2017, è rappresentata dall’avv. Massimiliano Coppa esperto in colpa medica, che ha esposto le ragioni tecnico giuridiche che hanno indotto il Tribunale ad accordare il risarcimento ai familiari, lamentando plurime “condotte difettuali attive ed omissive” in capo ai sanitari che ebbero in cura il paziente, per non aver tempestivamente diagnosticato e trattato una sepsi generalizzata dovuta al ritardo assistenziale e diagnostico che, successivamente, ha innescato una sofferenza multiorgano fino al decesso del paziente.

In particolare il Tribunale ha tracciato un quadro allarmante della vicenda, specificando che a seguito della perizia disposta dal Tribunale è risultato che “…la condotta dei sanitari della locale Azienda ospedaliera, hanno trovato riscontro nelle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio che, specie in materia di responsabilità sanitaria, può divenire fonte oggettiva di prova attesa l’innegabilità delle conoscenze tecniche specialistiche necessarie non solo alla comprensione dei fatti…”.

Scrive infatti il Tribunale che “…gli attori hanno allegato l’inadempimento dei sanitari, addebitando una condotta attendista del personale della struttura, nell’accertamento della condizione patologica e nel suo trattamento…”. La condotta dei sanitari, tuttavia, deve ritenersi censurabile atteso che il quadro patologico veniva diagnosticato (e conseguentemente anche trattato) tardivamente.

All’esito della disamina è possibile ritenere censurabile la condotta dei sanitari che non indicarono nel caso specifico alcun approfondimento diagnostico, con conseguente ritardo nella diagnosi e nel trattamento del quadro patologico instauratosi.

In particolare il ritardo realizzatosi consta di circa 30 ore nell’arco delle quali il quadro patologico si è aggravato a livello intraddominale portando a peritonite e ad un peggioramento del quadro clinico. In definitiva, gli ausiliari hanno chiarito che l’insufficienza multiorgano del soggetto deve essere correlata all’intempestività del trattamento.

In relazione all’incidenza del ritardo diagnostico i periti hanno chiarito che all’ingresso presso la struttura, le condizioni del paziente non vengono descritte come “scadute” , atteso che tale dizione emerge alle ore 15.47 (si veda diario clinico) e che “Tale specifico aspetto rende ragione del fatto che le condizioni scadute del soggetto non fossero in realtà da correlare alle patologie da cui lo stesso era affetto (tutte ad andamento cronico), ma ad un evento acuto che le condizionava in peggio, precisando che “l’evoluzione della patologia che ha determinato il decesso del paziente appare, a piena evidenza, come riconducibile all’attività dei sanitari della struttura convenuta non fosse altro perchè alcuna altra sequenza causale è in grado di giustificare razionalmente e
scientificamente l’insorgere della MODS se non quella presa in esame dai Ctu nel proprio elaborato e nei successivi chiarimenti, ovvero nella patologia non tempestivamente diagnosticata e trattata. Tale circostanza, dunque, non può essere considerata sopravvenuta, ma entra a pieno titolo nella consecutio sopra proposta, in quanto a sua volta determinata dalla peritonite insorta a causa del colpevole ritardo diagnostico…”.

Le tesi tracciate dal Tribunale, dunque, individuano un quadro assistenziale gravato da ritardi ed inadempimenti da parte dell’Ospedale di Cosenza che avrebbe certamente dovuto e potuto non provocare il decesso del paziente qualora fossero stati rispettati i c.d. LEA Livelli Assistenziali minimi, ormai imposti a termine di legge che, ancora – nonostante l’obbligatorietà della norma, vengono sistematicamente disattesi.

Per questa vicenda, la famiglia aveva anche accettato prima del deposito della sentenza, un risarcimento da parte dell’assicurazione dell’Ospedale, ma lo stesso ospedale inspiegabilmente non aveva concesso il consenso per concludere una transazione ed ottenere il risarcimento, ben potendo risparmiare molti soldi a titolo di interessi e ulteriori spese di giudizio, secondo quanto stabilito dalle condizioni di polizza che consentivano allo stesso ospedale di pagare una quota minima del risarcimento con il resto a carico dell’assicurazione.

Oggi la sentenza esecutiva del Tribunale di Cosenza, fanno sapere i familiari, consente secondo le disposizioni di legge, di recuperare le somme dovute anche a mezzo di pignoramento che verrà certamente eseguito nello stesso modo in cui fu effettuato per il recupero delle somme del paziente Ruffolo deceduto a causa della somministrazione di una sacca di sangue infetto con un maggiore ed ulteriore aggravio di spese per ulteriori interessi ed accessori che graveranno inevitabilmente sui bilanci dell’Azienda Ospedaliera soccombente, la quale, anche in quel caso fu costretta a pagare dopo il pignoramento giornaliero delle somme del ticket, della scrivania e dei quadri della stanza del direttore generale che, anche in questo caso, verranno certamente segnalati per competenza per materia alla Procura Regionale presso la Corte dei Conti di Catanzaro.

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