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Il Tribunale di Asti, a definizione di un ricorso di opposizione allo stato passivo fallimentare, ha dichiarato la nullità di un contratto di mutuo assistito da garanzia del Medio Credito Centrale per le PMI, in ragione della presunta consapevolezza da parte dell’istituto bancario dello stato di insolvenza del finanziato.

Secondo il Tribunale, infatti, la Banca avrebbe erogato il suddetto mutuo chirografario garantito dal fondo pubblico nella consapevolezza delle reali condizioni di insolvenza del cliente, desumibile in primis dall’analisi dei bilanci della società che riportavano sia una consistente perdita di esercizio, sia un Margine Operativo Lordo ampiamente negativo, oltre a diversi sconfinamenti ed insoluti risultanti dalla Centrale Rischi e dal report depositato da un creditore nel corso del procedimento per la declaratoria di fallimento richiesta in proprio dalla società debitrice.

Nella ricostruzione effettuata dai giudici di merito, quindi, la condotta della Banca era apparsa così distante dalla diligenza professionale tipica del banchiere, da desumere in via presuntiva la piena consapevolezza delle reali condizioni di insolvenza del cliente, o, in ogni caso, il completo disinteresse per le stesse, con la consapevole accettazione del rischio di concedere un finanziamento ad un’impresa insolvente.

Di conseguenza suddetto mutuo – come emergerebbe dalla documentazione in atti – sarebbe stato erogato unicamente in ragione della possibilità di accedere alla garanzia statale MCC per il finanziamento concesso, condizione in difetto della quale si presume che mai sarebbe stata omessa l’attività istruttoria ed erogato il finanziamento.

La funzione concreta del contratto in questione, quindi, secondo il Collegio, non sarebbe l’erogazione immediata di una somma con assunzione del rischio circa la sua integrale restituzione a fronte dell’impegno del mutuatario al rimborso rateale, e neppure la concessione di una dilazione negli obblighi restitutori di un finanziamento già erogato mediante stipulazione di nuove e più sopportabili condizioni, perché, per entrambi i negozi, sarebbe assente la stessa astratta possibilità che possa avvenire la restituzione della somma erogata.

La vera causa concreta dell’operazione negoziale, quindi, sarebbe rappresentata dall’assicurazione alla parte mutuante della garanzia statale per una parte nettamente preponderante del già sussistente credito, nella consapevolezza che il debitore principale non avrebbe mai potuto adempiervi ed a fronte di una non immediata esazione del precedente credito.

Il Tribunale di Asti, quindi, analizzando tale schema negoziale, ravvisa in esso un negozio giuridico in contrasto con le disposizioni normative di natura primaria e secondaria che regolano le modalità con le quali va condotta l’attività bancaria e l’accesso alle garanzie prestate dal fondo pubblico e, in particolare, in ordine alle condizioni in cui devono versare le PMI, inclusa la ragionevole possibilità che siano in grado di restituire il finanziamento erogato.

Secondo il Tribunale per tale motivo la reale causa del contratto risulterebbe contraria a norme imperative ed il negozio posto in essere sarebbe nullo per illiceità della causa ex art. 1343 c.c.

In secondo luogo, poi, il Tribunale ravvisa in tale operazione negoziale una contrarietà all’imperatività della norma penale (e quindi nulla anche ai sensi dell’art. 1414 c.c.), costituendo sia un’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato – ponendosi in contrasto con l’articolo 316-ter c.p., perché risulterebbe  funzionale all’indebito conseguimento da parte dell’istituto di credito di un contributo consistente nella garanzia statale grazie all’omissione d’informazioni che in realtà avrebbero dovuto essere fornite all’ente preposto alla decisione circa l’erogazione dei finanziamenti, ossia l’informazione che il beneficiario del finanziamento era, in realtà, insolvente – , sia con la fattispecie di reato di bancarotta semplice di cui all’articolo 217, comma 1, n. 4, L.F, attesa la sua idoneità a procrastinare la dichiarazione di fallimento dell’impresa aggravandone il dissesto.

Sotto tale profilo di nullità, tuttavia, si deve sottolineare che il Tribunale di Asti non ha preso in considerazione che persino in caso di ritenuta violazione dei precetti penali previsti dalla Legge Fallimentare non possa, in ogni caso, darsi luogo alla sanzione della nullità dei relativi contratti.

Infatti, in assenza di una norma che vieti in via generale di porre in essere attività negoziali pregiudizievoli per i terzi, il negozio lesivo dei diritti o delle aspettative dei creditori non è, di per sé, illecito, quindi la sua conclusione non è nulla per illiceità della causa, per frode alla legge o per motivo illecito determinante comune alla parti, apprestando l’ordinamento, a tutela di chi risulti danneggiato da tale atto negoziale, dei rimedi speciali che comportano, in presenza di particolari condizioni, l’applicazione della sola sanzione dell’inefficacia.

Oltre a ciò, si deve sottolineare che la motivazione del decreto non pare comunque idonea a far ritenere sussistenti né il presupposto oggettivo, né, tantomeno, il presupposto soggettivo del reato, sia nei confronti dell’intraneus (i.e. i componenti dell’organo amministrativo della fallita), sia, a maggior ragione, dell’extraneus (i.e. la Banca), che potrebbe rispondere unicamente per concorso in reato proprio del primo.

In conclusione, il Tribunale di Asti, in considerazione delle peculiarità emerse nel caso di specie, ritenendo il contratto nullo, ha rigettato l’opposizione allo stato passivo avanzata dall’istituto di credito, definitivamente escludendo l’importo del finanziamento concesso dallo stato passivo del fallimento.

 

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