Valutare la legittimità o meno di un ordine di demolizione può
dipendere anche dalla datazione di un manufatto e delle successive
opere di ristrutturazione, considerato che la normativa
applicabile al caso in esame può portare a diverse
conclusioni.
Non a caso quindi il Consiglio di Stato
con la sentenza del 9
maggio 2024, n. 4191, ha accolto in parte l’appello
contro un ordine di demolizione, soltanto dopo aver chiarito che la
questione riguardava un immobile ante ’67 sul quale non era stata
operata alcuna variazione di destinazione d’uso, differentemente da
quanto affermato dal Comune.
Cambio di destinazione d’uso e abusi su immobile ante ’67: la
sentenza del Consiglio di Stato
La questione è nata a seguito dell’ingiunzione a demolire di
alcune opere edilizie realizzate sia all’interno di un fabbricato
che sull’area esterna, e che avevano comportato:
- la modifica di destinazione a uso abitativo anziché ad
attività produttiva; - la realizzazione di un solaio interno tra piano terra e primo
piano; - la diversa distribuzione degli spazi interni, la realizzazione
di una scala interna di collegamento tra i due livelli
dell’abitazione con la realizzazione di “5 vani finestra”; - la realizzazione di pavimentazione esterna;
- la realizzazione di un muretto di cinta esterno;
- la realizzazione di una piccola tettoia in legno;
- la realizzazione di un piccolo prefabbricato in legno e di una
copertura sorretta da montanti in ferro; - la diversa distribuzione interna degli ambienti in un antico
fabbricato rurale adiacente alla costruzione.
Secondo il ricorrente, il provvedimento di demolizione sul
cambio di destinazione d’uso sarebbe stato illegittimo in quanto
sia il piano terra che il primo piano del fabbricato erano adibiti
da decenni ad uso abitativo per cui, trattandosi di immobile
edificato anteriormente al 1942, in zona non soggetta al momento
della costruzione ad alcuna zonizzazione o regolamentazione
urbanistico/edilizia, non vi sarebbe stata alcuna variazione d’uso
giuridicamente rilevante.
Tutte le altre presunte difformità, non sarebbero inoltre state
sanzionabili ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001
(Testo Unico Edilizia) trattandosi di
opere di manutenzione o di ristrutturazione
(disciplinata dall’art. 33 TUE), o di “diversa distribuzione
degli spazi interni” in difformità alla autorizzazione in
variante, soggetta al regime dell’attività edilizia libera ovvero,
al più, della C.I.L.A. o della S.C.I.A. e non del permesso di
costruire.
In primo grado, il TAR aveva dichiarato il ricorso in parte
improcedibile e in parte infondato, considerando avvenuto il cambio
di destinazione d’uso e che l’accertamento di conformità ex art. 36
del Testo Unico Edilizia è rimasto inevas, consolidandosi come
provvedimento di rigetto.
Da qui l’appello, con il quale è stato ribadito che:
- l’ìimmobile era sempre stato destinato a uso
abitativo; - il Comune nel 1963 aveva rilasciato la concessione
edilizia per la sopraelevazione di un “quartino” nonché, a seguito
dei danni dal sisma del 1980, l’autorizzazione per “riparazione”,
ai sensi dell’art. 14 L. n. 219/1981, e quindi per la riparazione
di “immobile destinato ad uso di abitazione”; e non per una
destinazione “produttiva”; - andava riconosciuta alla mancata definizione espressa da
parte del Comune dell’istanza ex art. 36 D.P.R. 380/2001 valore
(non di silenzio rigetto ma) di silenzio inadempimento.
Per dirimere la questione, il Consiglio ha quindi disposto
una CTU finalizzata a stabilire:
- la presumibile data di edificazione
dell’immobile; - la destinazione urbanistica della zona, nella
successione degli strumenti urbanistici, dalla data di presunta
edificazione dell’immobile alla data di emanazione dei
provvedimenti impugnati; - la presumibile destinazione dell’immobile anteriormente e
successivamente alle autorizzazioni rilasciate dal Comune; - descrizione delle opere, realizzate in
difformità rispetto alle precedenti autorizzazioni, attualmente non
rimosse, al fine dell’inquadramento nel relativo regime giuridico,
precisando l’eventuale anteriorità al 1° settembre
1967.
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