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BUSTO ARSIZIO (VARESE) – Irene Pivetti è stata rinviata a giudizio dal gup del Tribunale di Busto Arsizio Anna Giorgetti che ha accolto la richiesta del pm Ciro Caramore. L’ex presidente della Camera è accusata a vario titolo, insieme alla figlia, il genero, l’imprenditore Luciano Mega e altre persone – tutte rinviate a giudizio – di frode in forniture pubbliche, bancarotta, appropriazione indebita, riciclaggio e autoriciclaggio nell’ambito di una compravendita dalla Cina di mascherine per un valore complessivo di 35 milioni di euro che arrivarono a Malpensa durante l’emergenza Covid. L’ex parlamentare e gli altri otto sono accusati a vario titolo di frode in forniture pubbliche, appropriazione indebita, riciclaggio e autoriciclaggio, contrabbando aggravato e bancarotta fraudolenta per una compravendita del valore di 35 milioni di mascherine dalla Cina.

Ne sarebbero state consegnate però solo per un valore di 10 milioni, di qualità scadente, praticamente inutilizzabili, con falso marchio CE. All’aeroporto di Malpensa ne furono sequestrate 1,3 milioni a luglio del 2021, ancora in piena pandemia. I capi di imputazione sono in tutto 92. Da quanto emerso nell’inchiesta Pivetti, attraverso una società a lei riconducibile (la Only Italia che fino a quel momento aveva un fatturato irrisorio) e insieme ad altre persone considerate meri prestanome, tra il 2020 e il 2021 avrebbe incassato qualcosa come 35 milioni di euro per le forniture di mascherine, spacciate per FFP2 ma che in realtà di pessima qualità e non potevano essere utilizzate negli ospedali.

Nelle 600 pagine della richiesta cautelare, confezionata qualche mese fa dal magistrato di Busto dopo due anni e mezzo di indagine, in collaborazione con la polizia giudiziaria della Guardia di Finanza di Busto e altri reparti delle fiamme gialle, sono stati ricostruiti minuziosamente i meccanismi dell’importazione delle mascherine e le commesse per la Protezione Civile che in quel momento gestiva la grande emergenza della mancanza di dispositivi di protezione individuale, soprattutto per gli ospedali. La società di cui era rappresentante legale la Pivetti ottenne due contratti da 23 e da 2 milioni di euro. Secondo l’accusa, però, quei dispositivi non rispondessero ai criteri minimi dettati dall’Unione Europea.

Ad aggravare la posizione di Pivetti e di Mega ci sarebbe anche il fatto che avrebbero beneficiato di agevolazioni fiscali previste in quel periodo emergenziale per chi importava dpi per conto della Protezione Civile (che doveva essere l’unica beneficiaria, ndr) mentre alcune partite sarebbero state vendite ad enti pubblici come l’Asl di Napoli 3, ATM Genova ed Estar Toscana, oltre ad aziende private. Da qui anche l’accusa di contrabbando aggravato. Il pubblico ministero bustese, inoltre, avrebbe racchiuso nel suo fascicolo circa 40 procedimenti aperti in tutta Italia riguardanti questa vicenda ricucendo pezzi di indagine che erano partiti un po’ dappertutto. Alla fine è riuscito a sequestrare (provvedimento ancora in atto) solo 1,2 milioni di euro dal conto riconducibile all’ex parlamentare mentre gli altre 34 milioni avrebbero preso il volo verso conti prevalentemente esteri. Pivetti, per contro, ha sempre rigettato ogni accusa parlando di complotto ai suoi danni. Il dibattimento si aprirà il prossimo 21 novembre.

 

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