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Per molto tempo ha rappresentato un grande mito, oltre che l’unica argomentazione apparentemente valida durante le discussioni con le femministe contrarie a una riforma della disciplina di separazioni e affidi: «ogni anno si suicidano 200 padri separati!». Un’affermazione pesante, ma soprattutto una prova schiacciante di quanto le prassi separative siano talmente inique da condurre molti uomini alla disperazione. Restava un problema da risolvere, ben evidenziato dalla risposta tipica della femminista con cui ci si trovava a dibattere: «la fonte del dato?». E lì cominciavano le contorsioni: non essere in grado di menzionare da quale studio derivasse quella cifra ha significato spesso, per molti, la sconfitta dialettica e l’umiliazione di venire avvolti dall’alone del “cazzaro” che spara cifre a caso. Per questo nel mio libro “Violenza sulla donne: le anti-statistiche” ho dedicato un capitolo proprio a questa faccenda, esortando tutti a non utilizzare più quell’argomento. Avevo fatto le mie verifiche, seguendo il filo di quella che, in quanto priva di fonte, era di fatto una diceria, e avevo trovato come capolinea le dichiarazioni di Tancredi Turco, ex parlamentare del Movimento 5 Stelle.

«Secondo le statistiche», aveva affermato Turco nel 2017, «sono 4.000 i suicidi in Italia ogni anno e tra questi, appunto, 200 quelli conseguenti ad una separazione e al conseguente allontanamento dai figli. I dati sono stati riportati in alcuni articoli di giornali che a loro volta riportano in particolare gli studi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità». Per mesi ho cercato sia sulla stampa che, soprattutto, in tutte le moltissime ricerche statistiche dell’OMS, senza trovare nulla che si avvicinasse nemmeno un po’ al dato citato. Da lì la mia decisione di scrivere nero su bianco un consiglio dal cuore: lasciate perdere, non menzionate più i 200 padri separati suicidi all’anno, è un boomerang dialettico. Per quanto vero o anche solo verosimile, è un dato non verificato: utilizzarlo è come darsi la zappa sui piedi. Effettivamente da allora, complice anche il tramonto di ogni discussione sulla riforma della Legge 54/2006, non ho più visto nessuno menzionare quel dato drammatico ma purtroppo vago.

Con buona pace di chi blatera di regime patriarcale.

Poi capita l’imponderabile, come sempre per puro caso. Un amico mi segnala questo articolo datato 25 novembre 2016, a firma di Marina Dalla Costa, all’interno del sito di quello che parrebbe un partito politico, il “Movimento Libertario”. Il pezzo è sorprendente, dice le stesse cose che si dicono nella Uomosfera oggi: smonta pezzo per pezzo, citando fonti ufficiali, il mito del “femminicidio”, e lo fa con tutta la ragionevolezza del caso. Alla fine si riferisce anche ai dati sui suicidi, ed ecco riapparire il fatidico numero: «In Italia il tasso di suicidio di uomini separati è di 284 per milione all’anno». Non parla specificamente di padri separati, ma di uomini separati in generale, ed è già qualcosa. Soprattutto cita come fonte l’Eures, e non l’OMS, in particolare una ricerca del 2009. Faccio ripartire le ricerche e in due minuti reperisco il report relativo (scaricabile qui o dalla sua collocazione originale qui): “L’ultimo grido dei senza voce. Il suicidio in Italia ai tempi della crisi”. Pubblicato nel 2011, analizza i tassi suicidiari nel nostro paese fino al 2009, ed è una meraviglia da leggere per il semplice motivo che, diversamente dai report che si possono leggere oggi, non è inquinato da nessun orientamento ideologico. Riporta i dati per descrivere la realtà, non per supportare una visione precostituita della stessa. Roba molto rara oggi.

I dati che riporta sono noti e ormai consolidati: la stragrande maggioranza dei suicidi è compiuta da uomini. Non solo: anche nei tentati suicidi gli uomini battono le donne, con una proporzione di 3,5 a 1. Sulle motivazioni, il report si scontra contro la difficoltà della frequente assenza di spiegazione del gesto. Non tutti coloro che si tolgono la vita lasciano scritto o detto il perché, anzi lo fa una minoranza. In molti casi non spiegati la ragione si può desumere con la conoscenza delle condizioni di vita del suicida, con ciò riducendo gli “inspiegabili” a un numero sempre alto ma statisticamente gestibile. Nel 2009 l’Italia (e non solo) stava pagando l’onda lunga dei giochetti americani con i subprime e questo aveva fatto esplodere gli omicidi innescati da ragioni economiche. «Non risulta inoltre superfluo», spiega l’Eures, «evidenziare come il suicidio per ragioni economiche rappresenti un fenomeno quasi esclusivamente maschile (95% dei casi nel 2009) a conferma di come questo si leghi alla acquisizione/perdita di identità e di ruolo sociale definita dal binomio lavoro/autonomia economica». Con buona pace di chi blatera di regime patriarcale che privilegia gli uomini e della Murgia secondo cui la “mortificazione civile” colpisce soltanto le donne sottoposte, solo loro, a intollerabili pressioni socio-culturali.

tabella suicidi eures 2009

Aggiungete un circa, così sarete inattaccabili.

A questo punto si arriva alla declinazione dei dati per status sociale: età, area geografica e stato civile. Ed ecco qualcosa che somiglia molto ai “200 padri separati” dell’ex Onorevole Turco: «l’indice di rischio complessivamente più alto si rileva tra i separati e i divorziati (14,2 ogni 100 mila abitanti, che sale a 28,4 tra gli uomini contro un indice pari a 4,8 tra le donne)», riporta l’Eures, registrando come lo stesso indice sia bassissimo tra chi è accoppiato. Osserva allora il report: «Questi indici sembrano evidenziare come l’integrazione e la condivisione di uno spazio affettivo (ma anche di uno spazio economico) costituiscano elementi “preventivi” del rischio suicidario e, al tempo stesso, come la perdita affettiva (nella separazione e/o nel lutto ) rappresenti soprattutto per gli uomini una perdita di identità e di punti di riferimento molto superiore a quella delle donne». Chi è avvezzo a leggere i report statistici odierni non può che commuoversi di fronte a un’osservazione del genere, che tratta il genere maschile in modo perfettamente normale, umano, attribuendogli sentimenti ed empatia, senza criminalizzarlo forzosamente. Sì, gli uomini da soli, senza una compagna, stanno male. Tanto da togliersi spesso la vita. Bamboccioni? Senza palle? Eterni Peter Pan? No, Uomini. Che in quanto esseri umani hanno bisogno di legami identitari e punti di riferimento affettivi, come li definisce l’Eures, cui dare un’importanza cruciale nella propria esistenza. Fa impressione che solo 12 anni fa si parlasse in questi termini della sfera maschile in un report statistico ufficiale.

E poi c’è il dato misterioso, quel numero circolante da tempo ma da sempre senza una fonte: il report Eures nel 2009 conta tra i separati e divorziati che si sono suicidati 253 uomini e 64 donne. Non dice se quei 253 fossero padri o meno, ma possiamo presumere che in gran parte lo fossero. È passato, vivaddio, il tempo in cui gli uomini si suicidavano per la sola perdita della donna amata. Capita ancora ma si contano sulle dita di una mano. La pulsione affettiva maschile da decenni ha trasferito la sua potenza sulla prole: gli uomini contemporanei possono accettare tranquillamente di vivere senza la propria amata, ma molto difficilmente accettano la rinuncia ai propri figli. Dunque sì: è legittimo dire che nel 2009 si suicidarono circa 200 padri separati. L’Eures dice che è un dato che conferma un trend già registrato in precedenza, nel 2000 e nel 1990. E poi? Poi il nulla, quel dato è sparito. Viene recuperato soltanto da Santiago Gascó Altaba tra le note del suo “La grande menzogna del femminismo“. Ma è l’unico. Nessuno più ha elaborato dati come quelli: ISTAT, Eures, Eurostat, ONU, hanno optato da allora per il silenzio più totale. Dal 2009 (curiosamente è anche l’anno dell’approvazione in Italia della legge anti-stalking, ovvero l’anno dell’inizio della fine…) ogni rilevazione ha cambiato approccio: le sofferenze maschili non si misurano più, così si dà l’impressione che non ce ne siano, che gli uomini se la spassino alla grande nel loro stramaledetto patriarcato. Di contro si registra ogni minima sofferenza femminile, magari manipolando anche i dati, così tutti credono che un genere è persecutore e l’altro è perseguitato. Quest’ultimo, in quanto tale, ha più diritti e deve avere più tutele dell’altro. E così siamo all’oggi degli sgravi fiscali totali per chi assume donne (per dirne una a caso). Al di là delle mistificazioni, è del tutto ragionevole pensare che il dato del 2009 sia rimasto costante, se non si è addirittura aggravato. Prendiamone atto mentre io, per parte mia, mi rimangio ciò che ho scritto sul mio libro: quello dei 200 padri separati all’anno non è più un mito, una diceria senza fonte. La fonte c’è ed è l’Eures.

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