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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE


SEZIONE II CIVILE


Sentenza 9 febbraio 2011, n. 3175

Svolgimento del processo


Con atto di citazione notificato il 29-7-1993 G.M. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Sulmona C. D., S.I., Sp.Al., S. M. ed C.E. assumendo di essere creditore della somma di L. 91.846.300 nei confronti del defunto C. A., padre di C.E., il quale, al momento del suo decesso avvenuto il ****, non aveva lasciato alcun bene all’unica erede, accettante l’eredità con beneficio di inventario, ed aggiungendo che in precedenza il 27-8-1988 il defunto aveva ceduto la nuda proprietà di tutti i suoi beni alla sorella D., al cognato S.I. ed ai nipoti Sp.Al. e M..


L’attore chiedeva quindi la declaratoria di nullità assoluta delle suddette vendite per simulazione, o di nullità per dissimulazione di donazioni, nulle o riducibili nella quota di legittima, o di inefficacia degli atti ex art. 2901 c.c..


Si costituivano in giudizio C.D.; S. I., Al. e M. contestando il fondamento delle domande attrici.


Si costituiva in giudizio anche C.E. aderendo alle domande di simulazione proposte dall’attore.


Intervenivano poi in giudizio “ad adiuvandum” A.B. e L.M., rispettivamente di professione avvocato difensore ed agronomo, vantando crediti nei confronti di C. A. per attività professionale svolta nell’interesse di quest’ultimo.


Il Tribunale adito con sentenza del 7-6-2002 respingeva le domande di simulazione ed accoglieva la domanda revocatoria.


Proposta impugnazione da parte di C.D., S. I. Al. e M. cui resistevano il G., l’ A. ed il L. che proponevano appello incidentale la Corte di Appello di L’Aquila con sentenza del 31-5- 2004, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha rigettato anche la domanda di revocatoria ordinaria proposta dal G..


Per la cassazione di tale sentenza il G., l’ A. ed il L. hanno proposto un ricorso articolato in tre motivi cui la C., I., Al. e S.M. hanno resistito con controricorso introducendo altresì un ricorso incidentale condizionato affidato ad un motivo; i ricorrenti principali hanno successivamente depositato una memoria.


Motivi della decisione


Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza.


Venendo quindi all’esame del ricorso principale, si rileva che con il primo motivo il G., l’ A. ed il L., denunciando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1414, 1417, 2697 e 2727 c.c., dell’art. 782 c.c. in relazione alla L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 48 nonchè omessa e/o errata motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver confermato il rigetto della domanda formulata dagli esponenti di declaratoria di nullità dell’atto di vendita del 27-8-1988 con il quale C.A. aveva ceduto la nuda proprietà di quasi tutti i suoi beni immobili alla sorella C.D., al marito di questa S.I. ed ai loro figli Al. e S.M. in quanto dissimulante una donazione e quindi necessitante, perchè fosse soddisfatto il requisito di forma, dell’intervento dei testimoni (ai sensi dell’art. 48 sopra menzionato) che invece non risultava dall’atto.


I ricorrenti assumono che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuta acquisita la circostanza dell’avvenuto pagamento del prezzo della suddetta vendita sulla base della quietanza rilasciata dal venditore agli acquirenti in sede di sottoscrizione del rogito, in contrasto invero con il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la quietanza non è opponibile ai terzi estranei al contratto di compravendita.


I ricorrenti poi sostengono che il giudice di appello, avendo affermato che non era stata fornita alcuna prova del mancato pagamento del prezzo della vendita, non ha esaminato alcuni pacifici e rilevanti elementi acquisiti nell’ambito dell’istruttoria espletata; in tal senso essi evidenziano che i beneficiari dell’atto per cui è causa costituivano il vero ed unico nucleo familiare di riferimento di C.A., che quest’ultimo aveva escluso dalla successione la sua unica figlia C.E., con la quale aveva avuto contrasti anche di natura economica fino ad estrometterla dalla impresa familiare, che i beni oggetto dell’atto pubblico del 27- 8-1988, ovvero due appartamenti, una autorimessa, un garage una quota di alloggio ed un terreno tutti siti nel Comune di ****, rappresentavano allora quasi l’intero residuo patrimonio immobiliare di C.A.; neppure è stato considerato che il prezzo di vendita indicato nell’atto, pari a complessive L. 79.050.000, era spropositatamente inferiore a quello di mercato fissato nella C.T.U. in oltre L. 500.000.000, che Sp.Al. e M., che al momento della stipula dell’atto avevano rispettivamente 20 e 19 anni di età, erano assolutamente privi di reddito, che la situazione economica di C.D. e del marito era certamente precaria e comunque non tale da consentire la disponibilità della somma necessaria per il pagamento dei beni ad essi ceduti da C.A..


I ricorrenti infine rilevano che l’ A. ed il G., che assistevano da anni il C., il primo quale legale, il secondo quale commercialista, e che avevano ricevuto da questi in data 19-1- 1988 l’incarico di utilizzare il ricavato dalla vendita dell’azienda di estrazione, lavorazione e vendita di materiali inerti e derivati per saldare alcuni debiti, erano invece stati tenuti all’oscuro della cessione di immobili dell’agosto 1988 da parte del C. in favore della sorella e della sua famiglia, ovvero di una operazione che pure avrebbe consentito di ottenere della liquidità con cui sistemare parte delle sue posizioni debitorie; tale fatto invece si spiegava rilevando che il C. non si attendeva alcun corrispettivo dalla suddetta cessione in quanto dissimulante una donazione.


La censura è infondata.


La Corte territoriale ha ritenuto infondata la domanda degli appellanti incidentali di simulazione relativa della compravendita del 27-8-1988 che, a loro avviso, avrebbe dissimulato una donazione per la irrisorietà del prezzo, per il mancato pagamento dello stesso con simulazione della relativa quietanza e per la irrilevanza dell’accollo delle residue rate di mutuo; in proposito ha rilevato che non era stata fornita alcuna prova del mancato pagamento del prezzo, ed ha aggiunto che non si poteva sostenere che la quietanza rilasciata dal venditore agli acquirenti fosse simulata per il solo fatto che si assumeva che il cedente avesse voluto donare e non vendere i beni oggetto del contratto, dato l’evidente vizio tautologico di tale argomentazione, posto che la dissimulazione della donazione avrebbe dovuto risultare dal mancato pagamento del prezzo, e che tale preteso inadempimento non poteva ritenersi provato dal fatto che il contratto dissimulava una donazione.


In proposito deve premettersi che in tema di azione diretta a far valere la simulazione di una compravendita che sia proposta dal creditore di una delle parti del contratto stesso, alla dichiarazione relativa ai versamento del prezzo, pur contenuta in un rogito notarile di una compravendita immobiliare, non può attribuirsi valore vincolante nei confronti del creditore, atteso che questi è terzo rispetto ai soggetti che hanno posto in essere il contratto, e che possono trarsi elementi di valutazione circa il carattere fittizio del contratto dalla circostanza che il compratore, su cui grava l’onere di provare ti pagamento del prezzo, non abbia fornito la relativa dimostrazione (Cass. 30-5-2005 n. 11372); tuttavia la sentenza impugnata ha affermato che nella fattispecie, laddove sussisteva una quietanza in ordine al pagamento del prezzo di vendita, gli attuali ricorrenti principali non avevano fornito la prova gravante a loro carico, anche di carattere presuntivo, in ordine alla dedotta simulazione relativa della vendita suddetta in quanto dissimulante una donazione; al riguardo occorre rilevare che, considerato che le circostanze di natura indiziaria esposte nel ricorso principale non risultano essere state esaminate dal giudice di appello (ad eccezione di quella relativa alla irrisorietà del prezzo di vendita, oggetto di valutazione peraltro ai fini della configurazione dell’atto del 27-8-1988, come si esporrà meglio più innanzi, quale “negotium mixtum cum donatione”), era onere dei ricorrenti principali, in realtà non assolto, di dedurre di aver specificatamente sottoposto all’esame della Corte territoriale tali elementi ai fini della decisione sulla domanda di accertamento della natura simulatoria della vendita per cui è causa in quanto dissimulante una donazione.


Con il secondo motivo i ricorrenti principali, deducendo violazione e/o falsa applicazione dell’art. 782 c.c. e L. 16 febbraio 1913, n. 89, artt. 47 e 48 nonchè omessa e/o insufficiente motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver affermato che, atteso che il prezzo di vendita era del tutto sproporzionato rispetto al valore complessivo della nuda proprietà dei suddetti beni, era stato concluso un “negotium mixtum cum donatione” per il quale non era richiesta la forma particolare prevista per le donazioni.


I ricorrenti rilevano che al contrario la assoluta inadeguatezza del prezzo, pari ad un quinto o addirittura ad un settimo del valore di mercato dei beni ceduti, nonchè il legame familiare e di convivenza dei contraenti, costituivano indici sicuri del fatto che l’elemento di liberalità del contratto era prevalente rispetto a quello oneroso con la conseguenza che la forma del negozio, in correlazione a tale criterio di prevalenza, doveva essere quella della donazione.


La censura è infondata.


Il giudice di appello ha ritenuto assolutamente inadeguato il prezzo della suddetta compravendita rispetto al valore dei beni ceduti, posto che, anche tenendo conto della riserva di usufrutto per il venditore e dell’assunzione dell’obbligo di pagamento delle residue rate di mutuo, di cui peraltro non si conosceva l’ammontare, era evidente che la pattuizione complessiva di un prezzo di L. 79.050.000 appariva del tutto sproporzionata rispetto al valore complessivo di L. 504.625.000 della nuda proprietà dei beni; da tale premessa in fatto ha peraltro tratto la conseguenza che non ricorreva una donazione modale, come sostenuto dagli appellanti incidentali, che postulava comunque la gratuità del negozio e l’aggiunta di un onere, bensì un “negotium mixtum cum donatione”, ovvero un contratto oneroso con la cosciente pattuizione di un corrispettivo inadeguato alla controprestazione per il quale non era richiesta la forma particolare prevista per le donazioni, cosicchè l’atto pubblico senza testimoni adottato nella specie era perfettamente idoneo a rendere valido il negozio posto in essere dalle parti, anche nel caso si volesse ritenere che la vendita dissimulasse un atto di liberalità ex at. 809 c.c..


Orbene il convincimento espresso dalla sentenza impugnata è conforme all’orientamento ormai consolidato di questa Corte secondo cui il “negotium mixtum cum donatione” costituisce una donazione indiretta attuata attraverso l’utilizzazione della compravendita al fine di arricchire il compratore della differenza tra il prezzo pattuito e quello effettivo, per la quale non è necessaria la forma dell’atto pubblico richiesta per la donazione diretta, essendo invece sufficiente la forma dello schema negoziale adottato (Cass. 10-2-1997 n. 1214; Cass. 21-1-2000 n. 642; Cass. 29-9-2004 n. 19601; Cass. 3-11- 2009 n. 23297), considerato che l’art. 809 c.c., nello stabilire le norme sulle donazioni applicabili agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769 c.c., non richiama l’art. 782 c.c., che prescrive l’atto pubblico per la donazione (Cass. 29-3-2001 n. 4623); può qui aggiungersi, quanto alla disciplina da applicare al “negotium mixtum cum donatione”, e dunque a sostegno della opzione per il criterio dello schema negoziale adottato rispetto al criterio della prevalenza, che, facendo la norma sulla forma della donazione parte di quelle disposizioni volte a realizzare la tutela del donante (per evitare che lo spirito di liberalità possa trasformarsi per lui in un pregiudizio), essa, a differenza delle norme che assicurano la tutela dei terzi, non può essere estesa a quei negozi che perseguono l’intento di liberalità con schemi negoziali previsti per il raggiungimento di finalità di altro genere; infatti in tal caso troppo radicale sarebbe il sacrificio dell’autonomia privata alla quale si deve ricondurre il potere delle parti di avvalersi delle figure negoziali per perseguire finalità lecite e, come tali, atte a trovare nell’ordinamento il loro riconoscimento (così in motivazione Cass. 10-2-1997 n. 1214).


Con il terzo motivo i ricorrenti principali censurano la sentenza impugnata per avere respinto anche la domanda subordinata di revocatoria ex art. 2901 c.c. sul presupposto che tutti i crediti vantati dal G. erano posteriori all’atto del 27-8-1988;


cosicchè, esclusa la ricorrenza dell’ipotesi di revocatoria che richiede unicamente nel debitore la conoscenza del pregiudizio alle ragioni del creditore e nel terzo la consapevolezza di tale pregiudizio, non erano stati provati e neppure dedotti i requisiti necessari per la revocatoria prevista dall’art. 2901 c.c., n. 2, ovvero la dolosa preordinazione da parte del debitore e la partecipazione ad essa da parte del terzo acquirente.


I ricorrenti si richiamano ad una serie di documenti acquisiti agli atti di causa che proverebbero il sorgere dei crediti vantati dal G. per incarichi professionali svolti in favore del C. in epoca anteriore all’atto di cessione del 27-8-1988.


Al riguardo deve anzitutto dichiararsi inammissibile il motivo in esame formulato dai ricorrenti principali A. e L.;


invero occorre rilevare che la sentenza impugnata ha ritenuto prescritta ai sensi dell’art. 2903 c.c. la domanda revocatoria proposta da questi ultimi, essendo essi intervenuti in giudizio oltre il termine quinquennale previsto dalla norma ora citata rispetto al contratto del 27-8-1988 oggetto della domanda stessa, e che tale statuizione non è stata censurata in questa sede.


Il motivo stesso introdotto dal G. è invece inammissibile sotto diverso profilo.


La Corte territoriale ha affermato che quest’ultimo nell’atto di citazione proposto nel primo grado di giudizio aveva ricondotto il proprio credito nei confronti di C.A. per incarichi professionali alle seguenti attività: 1) definizione totale dell’intera situazione debitoria del C. conclusa con concordato stragiudiziale con i creditori; 2) trattative per la cessione dell’azienda e di due appartamenti; 3) attività per la costituzione della s.r.l.; 4) attività di consulenza tecnica contabile con tenuta della contabilità per gli anni 1989/1990; ha quindi rilevato che, a prescindere dalla prova dell’espletamento di tali attività e della congruità del compenso preteso, i riferimenti temporali indicati nell’atto di appello e non contestati dall’appellato G. rendevano evidente la posteriorità dei crediti sub) 2-3 e 4 rispetto all’atto di vendita del 27-8-1988, ed ha aggiunto che alle medesime conclusioni doveva giungersi per l’attività sub 1), in assenza di prova certa di una sua anteriorità rispetto all’atto suddetto.


Il giudice di appello pertanto ha sostenuto che nella specie non era ravvisabile l’ipotesi di revocatoria che richiede unicamente nel debitore la conoscenza del pregiudizio e ne terzo la consapevolezza dello stesso, bensì quella più specifica, attinente ai crediti sorti posteriorermente all’atto, che postula la dolosa preordinazione da parte del debitore e la partecipazione a tale dolosa preordinazione da parte del terzo acquirente, ed ha concluso che la domanda revocatoria, coltivata unicamente in riferimento alla fattispecie di anteriorità del credito rispetto all’atto impugnato, doveva essere disattesa, non essendo stati nè dedotti nè provati i presupposti dell’azione prevista per l’ipotesi di posteriorità del credito rispetto all’atto stesso.


Orbene occorre rilevare che il G. in questa sede non censura l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui i suoi asseriti crediti nei confronti di C.A. come enunciati nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado erano soltanto quelli sopra richiamati, tutti sorti in epoca posteriore all’atto di vendita oggetto della domanda revocatoria; pertanto la deduzione in questa sede di pretesi crediti nei confronti di C.A. anteriori al suddetto atto del 27-8-1988 si risolve nella prospettazione di argomentazioni basate su circostanze di fatto nuove e dunque inammissibili.


Il ricorso principale deve quindi essere rigettato.


All’esito del rigetto dei secondo motivo del ricorso principale deve ritenersi assorbito il ricorso incidentale condizionato basato su di un solo motivo con il quale si sostiene che l’atto di vendita del 27-8-1988 configurerebbe una liberalità effettuata in funzione di corrispettivo ed adempimento di un dovere nascente dalle comuni norme sociali, come tale non soggetta alla forma solenne propria della donazione.


I ricorrenti principali soccombenti devono essere condannati in solido al rimborso delle spese processuali liquidate come in dispositivo.


P.Q.M.


LA CORTE


Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale e condanna i ricorrenti principali in solido al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 3500,00 per onorari di avvocato.

 

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